È possibile una partnership industriale Italia-Cina sulle auto elettriche?
La Catalogna come modello di attrazione degli investimenti di Pechino. Ma il governo Meloni si è mosso tardi
Buongiorno da Shanghai.
È stata una missione intensa quella che Adolfo Urso ha svolto a Pechino il 4 e 5 luglio. Il ministro delle Imprese e del made in Italy ha incontrato, tra gli altri, il segretario del partito comunista della municipalità di Pechino e membro dell’ufficio politico dello stesso Pcc, Yin Li, il ministro dell’Industria e dell’Informatica, Jin Zhuanglong, e i vertici di una serie di case automobilistiche (Dongfeng, JAC, Chery e CCIG). Nella delegazione di Urso c’era il presidente dell’Associazione nazionale filiera industria automobilistica (Anfia), Roberto Vavassori.
Fermo restando che per un paese esportatore come l’Italia i mercati cinesi restano molto importanti, nonché la presenza delle pmi italiane che negli ultimi decenni hanno aperto stabilimenti produttivi in Cina, il governo Meloni si sta concentrando sull’attrazione di investimenti cinesi in Italia.
«È il momento giusto per fare di più e di meglio: da una partnership commerciale si può fare un salto di qualità e arrivare a una partnership industriale, specialmente nei settori della tecnologia green, della mobilità elettrica e della farmaceutica», ha dichiarato Urso. A tal fine (dopo la decisione di non rinnovare il memorandum Roma-Pechino sulla via della Seta) il governo ha rispolverato il berlusconiano Partenariato strategico Italia-Cina del 2004.
E tra i risultati della visita a Pechino del senatore di Fratelli d’Italia c’è un nuovo memorandum, questa volta “settoriale”, con il ministero dell’Industria e dell’Informatica cinese, che dovrebbe essere sottoscritto dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, durante la sua visita in Cina che partirà il 30 luglio.
Non è arrivato però l’annuncio dell’agognato investimento cinese in Italia nel settore dei veicoli elettrici, che il Mimit rincorre da mesi. Nonostante Urso - che aveva accolto «con soddisfazione» i pesanti dazi provvisori sulle auto elettriche importate dalla Cina imposti dall’Unione europea - a Pechino abbia invece assicurato che l’Italia è aperta a una «soluzione negoziale», cioè a una riduzione di quelle misure compensative, che diventeranno definitive entro novembre, per restare in vigore cinque anni.
Le precedenti dichiarazioni di Urso erano state stigmatizzate dai media cinesi, mentre nelle prossime settimane scopriremo se quello che è apparso come un do ut des - il “sì” italiano in seno all’Ue alla mitigazione dei dazi, in cambio degli investimenti cinesi in Italia auspicati dal ministero - avrà dato qualche frutto.
Sulla possibilità che un player cinese forte investa in uno stabilimento di auto elettriche in Italia è scettico Sergio Paba, docente di Economia presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. Secondo Paba - nel consiglio direttivo del Centro studi sulla Cina contemporanea - i cinesi «potrebbero essere interessati a rilanciare uno dei 14 marchi prestigiosi nel portafoglio di Stellantis, soprattutto Alfa, Lancia, Maserati, che tuttavia Stellantis non vuole cedere».
Paba ricorda che i grandi marchi cinesi - BYD e Chery - per i loro investimenti greenfield hanno già scelto altri paesi europei, mentre quelli con cui ha discusso Urso, eccetto Chery (che però ha appena investito in Spagna), «sono tutti non competitivi nel settore dei veicoli elettrici, producono al massimo 150.000 unità all’anno». Il governo, secondo Paba, ha maggiori probabilità di arrivare a un accordo per quanto riguarda gli autobus, dove c’è da salvare l’Industria Italiana Autobus.
Nell’attesa di vedere cosa ne verrà fuori, vogliamo ricordare un’esperienza di successo in un paese a noi vicino, la Spagna. In Catalogna le autorità regionali hanno collaborato con il governo di Madrid per attirare l’investimento di Chery, che il 19 aprile scorso ha formato una joint-venture con Ebro-EV Motors per produrre 150.000 automobili entro il 2029 negli stabilimenti ex Nissan della Zona Franca a Barcellona, con un investimento di circa 500 milioni di euro grazie al quale saranno recuperati oltre 1.000 posti di lavoro.
Per attirare i produttori cinesi il governo di Madrid ha messo a disposizione del settore automotive 1,7 miliardi di euro di fondi europei PERTE.
Inoltre, quando il presidente del Consiglio spagnolo, Pedro Sanchez, si è recato a Pechino in visita ufficiale (nel marzo 2023) ha incontrato tre esponenti (Xi Jinping, Li Qiang e Zhao Leji) su sette del comitato permanente dell’ufficio politico, il vertice del Partito comunista cinese.
Infine le autorità catalane e i vertici di Ebro (lo storico brand spagnolo che sarà rilanciato dall’alleanza con Chery) si sono recati più volte a Pechino per convincere le autorità cinesi della validità del progetto (mentre in Italia Stellantis importerà le auto elettriche della cinese Leapmotor o, al massimo, le produrrà in Polonia).
Collaborazione tra autorità locali e governo centrale nell’ambito di una chiara strategia industriale, agevolazioni per gli investitori, contatti politici ai massimi livelli con Pechino. È questa la strada da seguire se si vuole aggiungere a quella commerciale una partnership industriale che porti investimenti e occupazione in Italia.
Xi agli scienziati: hi-tech campo di battaglia con gli Usa
«La rivoluzione tecnologica è intrecciata con la lotta tra le superpotenze, e il settore hi-tech è diventato il principale campo di battaglia». Così Xi Jinping il 24 giugno scorso, durante la Conferenza sulla scienza e la tecnologia che si è svolta nella Grande sala del popolo di Pechino.
Nel suo discorso rivolto a tremila scienziati e ricercatori - e dunque scevro della retorica “win-win” della diplomazia di Pechino - il presidente cinese ha elencato sei settori nei quali per la Repubblica popolare cinese è prioritario realizzare svolte tecnologiche, per mettere al sicuro il processo di produzione e distribuzione del paese:
circuiti integrati;
macchinari avanzati;
software di base;
materiali avanzati;
strumenti per la ricerca scientifica;
risorse fondamentali del plasma germinale.
Xi ha chiarito che:
«L’attenzione dovrebbe essere posta sui settori chiave e sugli anelli deboli nella costruzione di un sistema industriale moderno. Per quanto riguarda i problemi legati ai colli di bottiglia in settori chiave quali i circuiti integrati, le macchine utensili di fascia alta, i software di base, i materiali avanzati, gli strumenti di ricerca scientifica e le risorse fondamentali del germoplasma, dobbiamo lavorare di più per rafforzare la ricerca e lo sviluppo tecnologico, in modo da fornire risorse scientifiche e sostegno tecnologico per garantire l’autonomia, la sicurezza e la controllabilità delle principali catene industriali e di fornitura».
Xi ha ricordato che la Cina ha compiuto grandi progressi scientifici in aree che vanno dallo spazio all’esplorazione degli abissi marini, ma anche che la sua capacità di “innovazione originale” è relativamente debole, sia perché alcune tecnologie fondamentali le vengono precluse da altri paesi (riferimento all’embargo hi-tech decretato dagli Stati Uniti), sia perché in Cina persiste una carenza di competenze.
«Dobbiamo avere un maggiore senso di urgenza. Dobbiamo intensificare l’innovazione per occupare i posti di comando della competizione tecnologica per lo sviluppo futuro», ha aggiunto il segretario generale del Partito comunista cinese.
Quest’anno Pechino ha stanziato circa 98 miliardi di RMB (circa 13,5 miliardi di USD) per la ricerca di base, +13 per cento rispetto al 2023. In confronto, il bilancio federale degli Stati Uniti per la ricerca di base nel 2024 è di 48,6 miliardi di UDS, 1 miliardo in più rispetto a 2023.
Xi ha concluso la sua orazione affermando che «quanto più complesso è il contesto internazionale, tanto più dobbiamo avere una mentalità aperta, e mantenere la porta aperta, coordinando l’apertura e la sicurezza, per raggiungere l’autosufficienza e la forza della Cina nella scienza e nella tecnologia attraverso una cooperazione aperta».
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