Biden scavalca il guardrail e attacca Xi; la Cina nella strategia di sicurezza nazionale tedesca; l'appello degli economisti di Pechino: subito un piano di stimolo
Arriva anche la strategia dell'Unione Europea per il "de-risking" sul quale però gli stati membri sono divisi
Piantare dei “guardrail”, per impedire che le difficoltà nel dialogo con gli Stati Uniti possano dar luogo a un disastroso incidente; provare a convincere l’Europa a limitare al massimo il “de-risking”, ovvero la riduzione della dipendenza da (e dunque della cooperazione con) l’economia cinese. Si è articolata lungo questi due binari l’iniziativa diplomatica cinese, durante gli incontri della leadership politica con il segretario di stato Usa, Antony Blinken in visita a Pechino (il 18 e 19 giugno), e nel corso del viaggio in Germania e Francia del premier Li Qiang (19-23 giugno).
Blinken, il primo segretario di stato Usa a sbarcare nella Repubblica popolare cinese negli ultimi cinque anni, si è trattenuto per circa sei ore con il suo omologo Qin Gang, e ha avuto colloqui con il responsabile della politica estera del partito comunista cinese, Wang Yi e, infine, con il presidente Xi Jinping. Le conversazioni tra l’inviato di Joe Biden e i leader cinesi hanno toccato tutti le principali questioni che contrappongono la potenza egemone e quella in ascesa: Taiwan, la guerra commerciale-tecnologica, il conflitto in Ucraina tra le altre. Si è trattato di colloqui che la parte cinese ha definito “franchi e approfonditi”, tesi da parte cinese a ribadire alla controparte quelle che per Pechino sono “linee rosse” che Washington non dovrebbe superare, onde scongiurare pericolosi fraintendimenti, che nelle ultime settimane si sono manifestati sotto forma di collisioni sfiorate tra le rispettive aviazioni e marine militari, sul Mar cinese meridionale e nello Stretto di Taiwan.
Tuttavia martedì 20 giugno, il giorno seguente il rientro di Blinken a Washington, nel corso di un evento di finanziamento per il partito democratico in California il presidente Biden ha dichiarato:
Il motivo per cui Xi Jinping si è molto arrabbiato, quando ho abbattuto quel pallone con dentro due vagoni pieni di attrezzature per spionaggio, è che non sapeva che fosse lì. E ciò rappresenta un motivo di grande imbarazzo per i dittatori: quando non sanno cosa sia successo, quando non hanno il controllo.
La dichiarazione di Biden non può essere considerata una gaffe, in quanto fa seguito ad altre con le quali, nei mesi scorsi, aveva definito Xi un “criminale”, Taiwan un paese “indipendente” e assicurato che, in caso di conflitto con la Cina, gli Usa scenderebbero in guerra sostengo Taiwan. Mentre in occasione delle uscite precedenti funzionari dell’amministrazione avevano poco dopo rettificato le parole del presidente, questa volta sono rimasti in silenzio.
La portavoce del ministero degli esteri di Pechino, Mao Ning, ha protestato definendo «denigratorie, errate, assurde e irresponsabili» le affermazioni di Biden, che «costituiscono una chiara provocazione politica». A Pechino sono consapevoli che Biden è già, di fatto, in campagna per le presidenziali del 5 novembre 2024, elezioni nelle quali i candidati faranno a gara anche a chi si mostra più duro con la Cina. Tuttavia, per la cultura politica cinese un attacco diretto e considerato infamate ai leader di un altro paese è inconcepibile. Dunque un affondo di questo tipo - ripetuto - a Pechino viene percepito, oltre che come una grave offesa, soprattutto come il rifiuto di una delle richieste fondamentali che la diplomazia cinese ha reiterato a quella Usa negli ultimi mesi: il rispetto della controparte politica, dei leader di un paese che, nella “Nuova era” proclamata da Xi Jinping al XIX congresso (18-24 ottobre 2017), pretende di essere trattato dagli Stati Uniti da pari a pari.
Come dicevamo, la missione del premier Li rientra nella strategia di rassicurare l’Ue per arginare chi (come presidente della Commissione, Ursula von del Leyen) vorrebbe nei confronti della Cina un approccio molto simile a quello degli Stati Uniti. Martedì 20 luglio infatti la Commissione Ue ha pubblicato una bozza di strategia per rafforzare la sicurezza economica europea, che si concentra sulla «minimizzazione dei rischi derivanti da determinati flussi economici nel contesto di crescenti tensioni geopolitiche e cambiamenti tecnologici accelerati». Si tratta di un progetto sul quale i paesi membri sono divisi, tra quelli più sensibili alla spinta al “de-risking” che arriva da Washington e quelli che hanno solidi rapporti economici di vecchia data con la Cina.
In Germania, l’esecutivo guidato da Li Qiang si è seduto di fronte a quello tedesco al completo, per la settima edizione delle consultazioni intergovernative sino-tedesche. Un “privilegio” che la Cina accorda solo al suo primo partner nell’Ue, un paese dove però il deficit commerciale con Pechino, schizzato a 84 miliardi di euro nel 2022, e la quasi-alleanza Mosca-Pechino, hanno costretto la coalizione semaforo guidata da Olaf Scholz a un ripensamento della politica nei confronti della Cina.
Per effetto delle tensioni geopolitiche e della pandemia, la Germania ha avviato un parziale de-risking, con diverse sue imprese che stanno trasferendo la produzione in altri paesi asiatici. Le grandi multinazionali come Siemens, Basf, e altre continuano però a fornire un contributo fondamentale allo sviluppo tecnologico-manifatturiero della Cina.
La coalizione semaforo (socialdemocratici, verdi, liberali) ritiene che il mondo stia diventando multipolare, un concetto riassunto nel saggio “The Global Zeitenwende” pubblicato da Scholz su Foreign Affairs. Se per Berlino il legame con gli alleati della Nato non si discute, nello stesso tempo in questa “svolta globale” è vitale mantenere aperti i commerci internazionali per l’export tedesco, e su questo si registra una convergenza oggettiva con le esigenze della Cina.
Intervenendo al China-Germany Economic and Technical Cooperation Forum il premier Li ha sottolineato con queste parole quella che i cinesi giudicano una “politicizzazione” dell’economia nascosta nello slogan del “de-risking”:
Ho lavorato a lungo nei governi locali e le auto fornite erano auto tedesche. Nei miei cinque anni di mandato a Shanghai [come segretario del partito], l’auto [fornita dal governo] era una Volkswagen prodotta congiuntamente da Shanghai Automobile e Volkswagen. Non lo consideravo un rischio. Quando abbiamo visitato gli ospedali per gli esami CT o MRI, le apparecchiature erano tutte prodotte da Siemens, ma non ci siamo mai sentiti in pericolo sdraiati lì. Pensiamo che nessuno di questi dovrebbe essere un rischio e la Cina non ha mai fatto nulla per il cosiddetto “de risking” da questi problemi.
Le intese economiche siglate durante le visite a Pechino di Scholz e, nell’aprile scorso, del presidente francese Emmanuel Macron, fanno ritenere alla leadership di Pechino che l’Ue possa essere spinta verso una posizione di “neutralità”, che possa bilanciare le pressioni Usa sugli “interessi chiave” della Cina: Taiwan e il containment tecnologico anzitutto. Anche la Francia di Macron, che parla di “autonomia strategica” dell’Ue, riveste una grande importanza per la Cina. Per questo Li ha partecipato al vertice per un nuovo Patto finanziario globale che si è svolto a Parigi il 22-23 giugno, alla presenza di Macron, Scholz, von der Leyen, del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, e di diversi leader africani. Il summit si propone l’ambizioso obiettivo di una «revisione dovuta del sistema finanziario internazionale 80 anni dopo Bretton Woods».
Il messaggio che Li ha portato in Francia (come in Germania) è che la Cina «si augura che gli imprenditori cinesi e francesi sostengano fermamente la globalizzazione economica... e lavorino insieme per mantenere la stabilità e la resilienza della catena di approvvigionamento tra Cina, Francia ed Europa».
Coalizione semaforo spaccata, sulla Cina la prima strategia di sicurezza nazionale della Germania è ambigua
Il 14 giugno scorso, il governo tedesco ha pubblicato la prima “Strategia di sicurezza nazionale” della Germania. Il paese più popoloso, prima economia dell’Unione Europea, non ha voluto istituire un consiglio per la sicurezza nazionale deputato alla sua attuazione, nondimeno il documento, frutto di un lungo confronto tra i partiti della coalizione (socialdemocratici, verdi, liberali), è importante in quanto - come sottolineato dall’agenzia di stampa Deutsche Welle - servirà a «evitare gli errori del passato che hanno lasciato il governo con la faccia rossa». Il riferimento è all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e al sabotaggio del gasdotto Nord Stream, che hanno spiazzato la Germania, che dipendeva da Mosca per l’importazione di gas.
La “Strategia di sicurezza nazionale” tedesca indica la “Russia di oggi” (di Putin, ndr) come la «minaccia al momento più significativa per la pace e la sicurezza nell’area euro-atlantica». Secondo l’esecutivo guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz, quella attuale è un’epoca «sempre più multipolare e segnata da una crescente rivalità sistemica», nella quale «alcuni paesi stanno tentando di rimodellare l’attuale ordine internazionale, spinti dalla loro percezione di rivalità sistemica». Il documento - consultabile a questo link - affronta la questione Cina:
In questo contesto internazionale, la Cina è un partner, un concorrente e un rivale sistemico. Vediamo che gli elementi di rivalità e competizione sono aumentati negli ultimi anni. La Cina sta cercando in vari modi di rimodellare l’ordine internazionale esistente basato su regole, sta affermando con sempre maggior vigore una posizione dominante a livello regionale, sta agendo ripetutamente contro i nostri interessi e valori. La stabilità regionale e la sicurezza internazionale sono sottoposte a crescenti pressioni e i diritti umani vengono ignorati. La Cina fa un uso deliberato del suo peso economico per raggiungere obiettivi politici. Allo stesso tempo, la Cina rimane un partner senza il quale molte sfide e crisi globali non possono essere risolte. Ecco perché dobbiamo cogliere le possibilità e le opportunità di cooperazione in questi campi in particolare.
Lo sviluppo delle capacità di difesa e dell’industria bellica tedesca sono secondo Berlino indissolubili dall’Alleanza atlantica: in linea con l’obiettivo fissato dalla Nato le spese per l’esercito tedesco aumenteranno nei prossimi anni, per raggiungere un valore pari al 2% del prodotto interno lordo. Nella “Strategia di sicurezza nazionale” si chiarisce che «stiamo rafforzando la Bundeswehr come pietra angolare della difesa convenzionale in Europa. Faremo quindi sforzi mirati per espandere la nostra presenza militare nel territorio alleato e collocarla su una base più permanente, il tutto in conformità con la pianificazione dell’Alleanza».
Nel documento non c’è alcun passaggio specifico sulla questione di Taiwan, mentre si afferma che «in termini globali, anche l’Indo-Pacifico rimane di particolare importanza per la Germania e l’Europa». Ma è chiaro che il cuore del documento tedesco è l’Europa, nel nuovo drammatico quadro determinato dall’invasione russa dell’Ucraina. Mentre la “Strategia di sicurezza nazionale” pubblicata nell’ottobre 2022 dall’amministrazione Biden (consultabile a questo link) identifica l’Indo-Pacifico come principale terreno di competizione tra gli Stati Uniti e la Cina.
Gigante manifatturiero ed esportatore come la Cina, come la Cina la Germania punta a «intensificare la cooperazione e a espanderla in specifiche aree, a livello bilaterale all’interno dell’Unione Europea, e a livello multilaterale. I progetti di cooperazione con partner globali sono progettati per avvantaggiare entrambe le parti e sono un passo decisivo per prevenire la formazione di blocchi». L’avversione per blocchi che ostacolerebbero il libero commercio accomuna Berlino e Pechino e isola le voci che negli Stati Uniti vorrebbero una nuova Guerra fredda. L’allargamento della cooperazione internazionale serve alla Germania per ridurre le dipendenze da singoli paesi/aree in un mondo diventato più pericoloso. La “Strategia di sicurezza nazionale” afferma che:
I mercati globali stanno cambiando a causa della crescente domanda, guidata dalla trasformazione digitale ed ecologica, nonché dalle tensioni geopolitiche. La costante disponibilità di molte materie prime e commodities sul mercato globale non è più scontata. L'obiettivo deve quindi essere quello di ridurre le dipendenze unilaterali esistenti, prevenire l'emergere di nuove dipendenze, fornire un sostegno mirato a progetti di materie prime in collaborazione con le imprese e costituire riserve strategiche. Sebbene la transizione energetica stia riducendo la dipendenza dai combustibili fossili, la Germania rimarrà un importatore di energia per il prossimo futuro. La Confederazione persegue quindi l'obiettivo di un approvvigionamento energetico privo di emissioni di carbonio, sicuro ed economico. A tal fine privilegia l'innovazione tecnologica, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e l'approvvigionamento di materie prime strategicamente importanti da partner affidabili ove possibile.
La prima e economia europea e gli Stati Uniti hanno presentato due strategie di sicurezza nazionale nelle quali la Cina occupa un ruolo fondamentalmente diverso, e ciò si riflette nelle diverse politiche che Berlino e Washington attuano nei confronti della Cina. Per la Germania, la Cina resta anzitutto un partner - prima che un concorrente e un rivale sistemico - nel quadro di un mondo che diventa sempre più multipolare. Per gli Stati Uniti, la Cina rappresenta uno sfidante alla leadership globale americana, da contenere attraverso una politica di alleanze-blocchi. L’industria tedesca continua a scommettere sul libero commercio, laddove gli Usa non esitano a ricorrere ad abbondanti dosi di protezionismo per riportare quote di manifattura in patria e contrastare la Cina, in entrambi i casi soprattutto nei settori hi-tech.
L’appello degli economisti al governo di Pechino: «Servono subito misure decise per stimolare la domanda interna»
L’economia cinese ha bisogno immediatamente di provvedimenti più decisi di quelli varati finora e di un piano d’azione per fermare la spirale al ribasso e il pessimismo diffuso nel settore privato. A sostenerlo sono due autorevoli economisti, Yin Yanlin, vice direttore della commissione affari economici della Conferenza politica consultiva del popolo cinese (Cpcpc), e Li Daokui, direttore del centro per la pratica e la teoria economica dell’Università Tsinghua.
L’appello a scongiurare un “iper-raffreddamento” dell’economia cinese è stato lanciato in occasione del 45esimo “China and the World Economy Forum” che si è svolto sabato 17 giugno presso il prestigioso ateneo pechinese.
Secondo Yin, il governo centrale dovrebbe muoversi “immediatamente”, varando misure in grado di sostenere la “domanda effettiva”. «I problemi della disoccupazione, dell’inflazione, la crescita economica e la prevenzione del rischio dipendono tutti da un rimbalzo della domanda interna», ha spiegato Yin. La recente uscita dalla Commissione centrale per gli affari economici e finanziari - il più importante organismo del partito comunista per le politiche economiche - ha permesso a Yin nel suo nuovo ruolo nella Cpcpc di giudicare com lenti e parziali i provvedimenti fin qui approvati.
Yin ha sostenuto che l’economia cinese sta «chiaramente perdendo slancio» e che ha di fronte «rischi crescenti», ed è “lontana” dall’obiettivo di “una ripresa”. La sua è tra le più autorevoli delle voci di policymaker ed economisti che ritengono non si sia ancora fatto abbastanza per restituire fiducia agli imprenditori privati. Secondo Yin
Il governo dovrebbe mostrarsi determinato, lanciando politiche più vigorose, invece di apportare piccoli, graduali aggiustamenti. Dovrebbero essere introdotte poche, fondamentali politiche per aumentare la fiducia degli investitori privati e degli uomini d’affari... che abbiano un impatto sostanziale, risolvendo i problemi di una giusta competizione e e delle difficoltà legali che attualmente sono costrette a fronteggiare.
I dati ufficiali pubblicati giovedì 15 giugno hanno confermato le difficoltà del settore privato, che in Cina impiega circa l’80% della forza lavoro urbana. Secondo l’Ufficio nazionale di statistica (Nbs), nei primi cinque mesi del 2023 gli investimenti in capitale fisso sono cresciuti del 4%, rallentando rispetto al +4,7% di media registrato tra gennaio e aprile di quest’anno. Nello stesso periodo, gli investimenti in capitale fisso del settore privato sono diminuiti dello 0,1% mentre quelli statali sono cresciuti dell’8,4% nel periodo gennaio-maggio 2023. Con ogni probabilità questo declino riflette anzitutto la scarsa fiducia degli imprenditori, in una fase caratterizzata da debolezza della domanda (interna e internazionale) e da accentuate tensioni internazionali.
Gli investimenti nel settore immobiliare sono diminuiti del 7,2% nei primi cinque mesi dell’anno, in calo rispetto al calo del 6,2% dei primi quattro mesi. Gli investimenti esteri diretti sono scesi del 5,6% nei primi cinque mesi dell’anno a 84,35 miliardi di dollari, mentre nel periodo gennaio-aprile, secondo i dati del ministero del commercio - erano diminuiti del 3,3%.
A preoccupare è anche il tasso di disoccupazione giovanile (16-24 anni), che a maggio è cresciuto ulteriormente, passando al 20,8% (dal 20,4% registrato ad aprile). Il tasso di disoccupazione urbano complessivo registrato il mese scorso è invece del 5,2%.
Li Daokui, direttore e fondatore del centro per la pratica e la teoria economica dell’Università Tsinghua, ha pubblicato assieme a un gruppo di ricercatori lo studio “Preventing Overcooling: A Foundational Task for Macroeconomic Governance in the New Era on China's economia development in the second half of 2023” (in mandarino), che può essere scaricato a questo link. Lo studio sottolinea che l’economia cinese ha vantaggi significativi in termini di tasso di risparmio nazionale (pari a circa il 35% del Pil), capacità di innovazione tecnologica (41% di laureati STEM sul totale) e forza lavoro totale. Sebbene l’economia sia attualmente al di sotto del tasso di crescita potenziale, essa ha ancora un elevato potenziale di crescita.
Nello stesso tempo il rapporto non nasconde la complessità dei problemi che affliggono l’economica cinese, riconducibili a cinque fattori principali: consumi stagnanti, elevato debito delle amministrazioni locali, mercato immobiliare in crisi, investimenti privati e domanda esterna deboli.
Da più parti si invocano misure più decise e generalizzate, come una riduzione della tassazione sui redditi, la distribuzione di voucher per incentivare i consumi e così via. Anche Li Daokui ha invitato il governo a distribuire sussidi diretti ai consumatori: «Alla fine, [questa politica] non costerebbe nemmeno alla spesa pubblica. Allora perché non lanciamo una politica così buona? Perché ne stiamo ancora discutendo? Sono anche confuso».
Ma, soprattutto, secondo Li, il governo dovrebbe restituire fiducia agli imprenditori privati, rassicurandoli sul fatto che il loro contributo all’economia nazionale ha per la leadership cinese lo stesso valore di quello del settore statale. Secondo Li:
Se l'economia continua a raffreddarsi a lungo termine, il problema della disoccupazione diventerà più serio, il che rappresenterebbe una sfida per la stabilità nella società... l'influenza internazionale del paese, compresa la nostra capacità militare, rallenterebbe anche la tendenza Il nostro sorpasso sulle economie più avanzate del mondo potrebbe addirittura essere ribaltato. Questo, temo, è un rischio fondamentale a lungo termine.
Nell’ultimo incontro del Consiglio di stato di venerdì 16 giugno, Li Qiang ha promesso politiche “più decise” che aumenterebbero la “domanda effettiva”, rafforzerebbero l’economia reale e disinnescherebbero i rischi in aree chiave. Ma non sono ancora stati annunciati provvedimenti specifici.
Cosa sto leggendo
La Cina e la politica globale. Tra cambiamento e continuità Silvia Menegazzi
China-U.S. Relationship Must Stop Getting Worse Xie Feng
China’s Consumers Are Flush With Cash, So Why Does the Recovery Have the Wobbles? Yu Hairong, Wang Shiyu, Denise Jia