C'è luce oltre il biglietto verde
I Brics accelerano sull'integrazione finanziaria tra gli stati membri e accolgono nuovi paesi
Benvenut* in Rassegna Cina, buongiorno da Shanghai da Michelangelo Cocco.
Il vertice dei paesi Brics che si è svolto a Kazan (22-24 ottobre) segna un ulteriore passaggio nella direzione del superamento del sistema di regole istituito nel 1944 con la conferenza di Bretton Woods. In linea di principio, la dichiarazione di Kazan pubblicata durante il summit riafferma la necessità di «rafforzare il multilateralismo, per uno sviluppo e una sicurezza globale giusti».
Obiettivi che hanno portato il dibattito sui Brics a polarizzarsi tra chi li giudica troppo eterogenei e perciò incapaci di perseguire strategie comuni, e chi invece ne esalta il potenziale di cambiamento. Per orientarsi è utile analizzare gli esiti del loro XVI summit.
Oltre ai cinque fondatori (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), al summit organizzato dalla presidenza di turno russa hanno partecipato per la prima volta quattro nuovi membri: Iran, Egitto, Etiopia ed Emirati Arabi Uniti. E altri 13 paesi si sono aggiunti in qualità di “partner”: Turchia (importante membro della Nato), Algeria, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Indonesia, Kazakistan, Malesia, Nigeria, Thailandia, Uganda, Uzbekistan, Vietnam.
L’allargamento è una chiara indicazione dell’attrattiva di questo gruppo, che risiede non soltanto nelle potenzialità del commercio intra-Brics - che ha già superato quello tra questi ultimi e il G7 -, ma anche nelle istanze di riforma del sistema globale delle nazioni aderenti. Attualmente i Brics possono conare su:
il 33,9 per cento della popolazione del pianeta;
il 36,7 del Pil mondiale (a parità di potere d’acquisto);
circa il 40 per cento della produzione di greggio;
il 24,5 per cento del volume delle esportazioni globali.
Bloomberg ha sostento che «il sogno di de-dollarizzazione dei Brics resta un’illusione». Eppure è questa la strada tracciata da Cina e Russia, due potenze in ascesa che in seguito all’aggressione all’Ucraina hanno già subìto l’impatto di sanzioni “unilaterali” (decretate in sede G7) che in futuro rischiano di ostacolare ulteriormente i rispettivi obiettivi di sviluppo.
Per questo il presidente cinese, Xi Jinping, a Kazan ha dichiarato davanti ai capi di stato e di governo dei Brics:
«Nelle circostanze attuali, è evidente l’urgenza di riformare l’architettura finanziaria internazionale. […] I paesi Brics dovrebbero svolgere un ruolo guida, approfondire la cooperazione finanziaria, promuovere l’interconnessione delle infrastrutture finanziarie, mantenere un alto livello di sicurezza finanziaria, espandere e rafforzare la New Development Bank e promuovere un sistema finanziario internazionale che rifletta meglio i cambiamenti nel panorama economico mondiale».
La spinta - economica e geopolitica - verso una graduale, parziale “de-dollarizzazione” è analizzata anche in questo report di ING pubblicato in occasione della penultima riunione dei Brics.
La “de-dollarizzazione” presenta difficoltà tecniche e implicazioni politiche enormi, tuttavia è evidente che i paesi Brics puntino ad affrancarsi almeno parzialmente dal biglietto verde. La Banca centrale della Cina, ad esempio, ha già attivato 40 linee di “swap” per scambiare il RMB con le valute di altrettanti paesi.
Il presidente russo, Vladimir Putin, ha lanciato l’idea di un sistema di pagamenti internazionali alternativo allo SWIFT (è in fase di elaborazione il progetto Brics Pay). Il premier Narendra Modi ha dichiarato che l’India accoglie con favore “gli sforzi per aumentare l’integrazione finanziaria tra i paesi Brics”, compreso il commercio in valute locali e l’agevolazione dei pagamenti transfrontalieri.
Chiusa l’inchiesta Ue: dazi fino al 45,3 per cento sulle auto elettriche importate dalla Cina. Pechino: inaccettabile.
Il 29 ottobre 2024, la Commissione europea ha concluso la sua inchiesta “anti-sussidi” sui veicoli elettrici prodotti in Cina importati nel mercato comunitario imponendo sugli stessi i seguenti dazi addizionali compensativi, che si sommano a quelli già in vigore, del 10 per cento:
BYD: 17,0%
Geely: 18,8%
SAIC: 35,3%
Le altre società che hanno collaborato con l’indagine avviata il 4 ottobre 2023 saranno soggette a dazi del 20,7 per cento.
A seguito di una richiesta motivata di un esame individuale, a Tesla verrà assegnato un dazio del 7,8 per cento.
Tutte le altre società che non hanno collaborato avranno un dazio del 35,3 per cento.
I dazi definitivi saranno riscossi a partire dal 31 ottobre 2024 e rimarranno in vigore per cinque anni.
La decisione dell’esecutivo comunitario si intreccia con la crisi del mercato dell’auto europeo, in particolare con l’intenzione di Volkswagen di chiudere almeno tre delle sue fabbriche in Germania, che danno lavoro a circa 15.000 persone. L’azienda sarebbe inoltre decisa a tagliare del 10 per cento gli stipendi e a bloccare gli aumenti per i prossimi due anni.
Il ministero del Commercio di Pechino ha fatto sapere che «la Cina non riconosce né accetta la sentenza definitiva dell’UE sull’indagine anti-sussidi sui veicoli elettrici fabbricati in Cina e ha intentato una causa presso l’Organizzazione mondiale per il commercio attraverso il suo meccanismo di risoluzione delle controversie. La Cina continuerà ad adottare tutte le misure necessarie per salvaguardare fermamente i diritti e gli interessi legittimi delle aziende cinesi».
Lo stesso ministero nel fine settimana aveva reso noto che erano ripartiti i negoziati tecnici per arrivare a un accordo in base al quale le tariffe sarebbero state ridotte o sospese in cambio di un intesa con le aziende su un prezzo minimo per i veicoli elettrici made in China importati nella UE.
Tuttavia, i colloqui si sono arenati sullo scoglio “tecnico” del funzionato di un simile accordo. Pechino pretendeva che l’intesa fosse applicata a tutte le aziende attraverso una camera di commercio governativa, mentre la Commissione intendeva negoziare con le singole aziende.
Oggi il governo di Pechino ha segnalato che la Cina e l’UE stanno conducendo una nuova fase di negoziati e che «si spera che l’UE, con un atteggiamento costruttivo, possa rilanciare i negoziati con la Cina e raggiungere rapidamente una soluzione accettabile per entrambe le parti aderendo a un approccio pragmatico, principi equilibrati e tenendo conto delle preoccupazioni reciproche per evitare l’escalation degli attriti commerciali». Ovvero una vera e propria guerra commerciale UE-Cina.
Pechino ha già pronta la rappresaglia, che potrà colpire una serie di settori sui quali ha avviato inchieste anti-dumping e anti sussidi. In particolare:
sulle importazioni di carne di maiale, che arrivano principalmente dalla Spagna (che sull’aumento dei dazi si è astenuta), dalla Danimarca e dall’Olanda (entrambe favorevoli);
sulle importazioni di latticini, rispetto alle quali i paesi più esposti sono Irlanda, Francia e Olanda (tutti e tre hanno votato “sì”);
sulle importazioni di Cognac, con la Francia nel mirino;
sulle importazioni di auto di grossa cilindrata, che colpirebbe Germania e Slovacchia (entrambi i paesi hanno però votato contro l’aumento dei dazi).