Caschi blu cinesi in Ucraina?
È più che una suggestione, e Pechino ha tanta esperienza di peacekeeping
Benvenut* in Rassegna Cina.
L’ultima uscita del presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, e del suo vice, JD Vance, contro gli «europei parassiti» - che si aggiunge all’aumento dei dazi sulle importazioni dall’Ue e all’iniziativa sull’Ucraina presa senza consultare Bruxelles - non basterà a compromettere le relazioni tra le due sponde dell’Atlantico. Tuttavia essa rappresenta l’ennesimo, inequivocabile, segnale di come alla Casa Bianca viene considerata l’Europa.
In questo quadro del tutto nuovo si inserisce la Cina, che si propone come potenza “responsabile” che al posto delle tariffe promuove la globalizzazione, che invece di una politica basata sulla forza incoraggia la cooperazione. L’era Trump apre insomma alla Cina spazi inediti per recuperare il terreno perduto con la gestione della pandemia e la mancata condanna dell’invasione russa dell’Ucraina.
La processione di leader europei che in questi giorni si stanno alternando in visita ufficiale a Pechino (tra loro anche il presidente del Senato, Ignazio La Russa) testimonia della volontà da parte europea - come al solito in maniera non coordinata, ognuno per sé, con la sua agenda nazionale - di riprendere a dialogare con la Cina, dopo le sanzioni reciproche del 2021 e le accuse di sostegno alla macchina bellica di Mosca.
Gli esiti di questo riavvicinamento sono incerti, ma meritano la massima attenzione, per le conseguenze economiche e geopolitiche che potrebbero innescare.
Buongiorno da Shanghai da Michelangelo Cocco
Soldati cinesi in Ucraina, inquadrati in un contingente multinazionale di peacekeeper a garanzia della tregua che potrebbe essere firmata tra Kiev e Mosca nei prossimi mesi? L’ipotesi circolava già da un po’ quando, lunedì 24 marzo, il ministero degli esteri di Pechino l’ha “smentita” con la classica smentita che non smentisce.
«Non è affatto vero», ha dichiarato durante la conferenza stampa quotidiana Guo Jiakun. Così il portavoce ha risposto all’indiscrezione, pubblicata due giorni prima dal quotidiano tedesco Die Welt, che citava un’anonima fonte diplomatica Ue, secondo la quale «l’inclusione della Cina in una "coalizione dei volenterosi" potrebbe favorire l’accettazione da parte della Russia di forze di mantenimento della pace in Ucraina».
Il 18 febbraio scorso Guo aveva già replicato con un “no comment” a un’altra rivelazione, dell’Economist, secondo cui la stessa amministrazione Trump avrebbe discusso di peacekeeper cinesi o brasiliani in Ucraina lungo un’eventuale linea di cessate il fuoco. Il settimanale britannico aveva titolato: In Europa potrebbero arrivare soldati cinesi?Evidenziando poi nel sottotitolo quella che per Pechino è la condicio sine qua non: La Cina sta chiaramente aspettando che la polvere si depositi. Dunque nessuna profferta di assistenza prima che si sia chiarito il quadro, che vede contrapposti Vladimir Putin, che rifiuta la presenza di militari di paesi Nato, a Francia e Regno Unito, a capo dei “volenterosi”, che vogliono inviare le loro truppe.
La Cina potrebbe spedire i suoi caschi blu in Ucraina soltanto se Russia, Stati Uniti ed Europa superassero questa impasse, e se le condizioni fossero tali da lasciar presagire una tregua duratura. Un accordo tra Usa, Russia e Ucraina (che continuano i loro colloqui bilaterali in Arabia Saudita) potrebbe prevedere un contingente multinazionale di caschi blu non solo europei, ma anche con una significativa rappresentanza del Sud globale.
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Il 27 settembre scorso, presso il quartier generale delle Nazioni Unite a New York, è stato istituito, su impulso di Cina e Brasile (rispettivamente importatrice ed esportatore di materie prime danneggiati dalle ripercussioni globali del conflitto), il gruppo “Amici per la pace” in Ucraina, composto da 17 paesi del Sud globale, tra i quali Egitto, Sudafrica, Indonesia, Messico.
Alla sua “smentita” delle indiscrezioni sul possibile invio di caschi blu cinesi in Ucraina, Guo ha aggiunto che nella loro ultima riunione, il 20 marzo scorso, gli “Amici per la pace” si sono dichiarati «pronti a contribuire a una risoluzione pacifica del conflitto e a un futuro migliore per tutti».
A Pechino uno dei principali “sposor” dell’invio di caschi blu cinesi in Ucraina è l’ex colonnello dell’Esercito popolare di liberazione Zhou Bo, ascoltato dalla leadership cinese. Bo, che è ricercatore presso il Centre for International Security and Strategy dell’Università Tsinghua di Pechino, recentemente ha osservato che:
La Cina è disposta ad assumersi maggiori responsabilità internazionali in materia di mantenimento della pace. Ad esempio, nel 2015, il presidente Xi Jinping ha annunciato l’istituzione di una forza di mantenimento della pace di riserva di 8.000 membri presso le Nazioni Unite che, combinata con i circa 2.500 peacekeeper dispiegati dalla Cina in otto regioni del mondo, forma una forza di mantenimento della pace di oltre 10.000 unità. Questa scala equivale all’intera forza militare di molti paesi africani. Ciò dimostra pienamente l’atteggiamento positivo della Cina nei confronti delle questioni relative al mantenimento della pace, poiché quest’ultimo non si limita all’assistenza ad altri paesi, ma aiuta anche a plasmare l’immagine della Cina come forza di pace sulla scena internazionale.
Da un punto di vista militare, Pechino è più che pronta, avendo dal 1990 contribuito con 50.000 tra soldati e operatori a missioni di pace in una ventina tra paesi e regioni.
Per Pechino la presenza di soldati dell’Esercito popolare di liberazione all’interno delle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite risponde a tre obiettivi principali:
contribuire al rafforzamento delle Nazioni Unite;
affermare l’immagine della Cina come nazione “responsabile”;
addestrare i suoi militari negli scenari più simili a una guerra in tempo di pace.
Attualmente, la Cina è il secondo maggiore contributore al bilancio delle operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite e il principale contributore di peacekeeping tra i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, con circa 2.000 tra soldati e operatori cinesi impegnati in una serie di missioni di mantenimento della pace, tra le quali: Unifil (Libano); Monusco (Repubblica democratica del Congo); Unmiss e Unisfa (Sud Sudan).
Il gotha del capitalismo globale sfila a Pechino
Li Qiang alle corporation: fronte comune anti-Trump
C’erano i top manager delle maggiori corporation globali all’annuale China Development Forum che si è svolto a Pechino il 23-24 marzo, intitolato “Unleashing Development Momentum for Stable Global Growth” (Liberare lo slancio dello sviluppo per una crescita globale stabile).
Blackstone, Apple, Siemens, Pfizer, Cargill… in tutto un’ottantina di multinazionali accorse - subito dopo la chiusura delle “due sessioni” dell’Assemblea nazionale del popolo e della Conferenza politica consultiva del popolo cinese - per farsi spiegare direttamente dal premier le prospettive di crescita e di sviluppo dell’economia cinese, mentre Morgan Stanley si aggiungeva al coro delle banche d’affari e delle agenzie di rating che negli ultimi giorni hanno avvicinato le loro stime di crescita del Pil cinese per il 2025 a quella ufficiale del governo (intorno al 5 per cento).
Il premier ha anzitutto promosso l’immagine di una Cina ancora di stabilità per il business transnazionale nell’era Trump. Li Qiang ha infatti ribadito l’impegno del suo governo ad «ampliare l’apertura e la cooperazione internazionale nonostante la crescente instabilità e incertezza globale».
Li ha sottolineato che la Cina resta impegnata ad accogliere le imprese globali, ad ampliare l’accesso al mercato, ad affrontare le preoccupazioni delle aziende e a promuovere una più profonda integrazione di quelle straniere all’interno dell’economia cinese.
Il presidente dello US-China Business Council, Sean Stein, ha speso parole al miele per la Cina, definita «un mare di stabilità in un mondo in difficoltà» per le politiche macroeconomiche recentemente annunciate dalla sessione annuale del parlamento (deficit/Pil al 4 per cento, stabilizzazione dei mercati immobiliare e azionario, investimenti infrastrutturali e rottamazioni di beni durevoli).
Denis Depoux, direttore generale della società di consulenza tedesca Roland Berger, ha affermato che la Cina punterebbe addirittura a stabilizzare il mondo. «Come nel 2017, quando il presidente Xi si è rivolto al World Economic Forum di Davos, c’è una finestra per la Cina per diventare stabilizzatrice, riformatrice e pilastro responsabile. In questo, possono fare da spalla all’Europa», ha dichiarato Depoux.
Li ha annunciato che il governo di Pechino è pronto a incrementare le misure di stimolo fiscale e monetario fin qui varate. Il numero due del partito ha invitato esplicitamente Tim Cook (Apple), Stephen Schwarzman (Blackstone) e colleghi a fare fronte comune contro le politiche di Trump. Il premier ha aggiunto che «il potere di una singola impresa può essere limitato, ma se tutti si uniscono, possono formare una potente sinergia. Spero sinceramente che gli imprenditori possano cooperare per resistere all’unilateralismo e al protezionismo e ottenere un maggiore sviluppo delle nostre rispettive imprese a reciproco vantaggio».
Li Qiang ha assicurato loro che «siamo pronti per possibili shock inaspettati da fonti esterne» e che, «se necessario, il governo introdurrà anche nuove politiche per garantire il regolare funzionamento dell’economia». Dunque per rispondere alle ripercussioni sul suo sistema produttivo dell’aumento sui dazi nelle importazioni negli Usa la Cina potrà incrementare ulteriormente le misure di stimolo fiscale e monetario fin qui varate.
Il partito comunista sta tessendo un’alleanza con il gotha del capitalismo internazionale a difesa della globalizzazione come quella che nel 1994 sconfisse Bill Clinton e i sindacati, che allora chiedevano protezioni per i lavoratori Usa e, assieme alle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, volevano che alla Cina venisse revocato lo status commerciale di “nazione più favorita”.
Sono passati oltre trent’anni, e, al di là della retorica del “de-risking”, Corporate America (e il made in Germany) continuano a investire massicciamente in Cina, anche se nel 2024 gli investimenti esteri diretti (114 miliardi di dollari) sono scesi del 27,1 per cento rispetto all’anno precedente.
Mentre la trasformazione del paese nella fabbrica del mondo ha fatto lievitare il commercio bilaterale con gli Usa da 39 a 581 miliardi di dollari dal 1993 al 2024 e quello con l’Unione Europea da 30 a 700 miliardi di euro nello stesso periodo.
A tutto stimolo fiscale
«Accelereremo la spesa fiscale, velocizzeremo l’emissione e l’utilizzo delle obbligazioni e le tradurremo rapidamente in spese tangibili», ha annunciato il ministro delle finanze cinese, Lan Foan, nel discorso tenuto in occasione del China Development Forum.
Con la domanda interna - in particolare i consumi delle famiglie - che resta tiepida, il governo di Pechino ha deciso di intensificare le politiche di stimolo, per favorire la crescita di un’economia tuttora sotto pressione dopo il crollo del mercato immobiliare, e per i rischi derivanti dal debito dei governi locali.
Per queste politiche servirà portare - come annunciato durante le “due sessioni” - il rapporto deficit Pil al 4 per cento -: per stimolare la spesa dei consumatori, stabilizzare il mercato immobiliare e alleviare parte dello stress finanziario degli enti locali.
Lan ha sottolineato la necessità di un’attuazione politica ben coordinata e coerente e di un uso efficace di obbligazioni governative, fondi speciali e altri strumenti politici. Ha inoltre evidenziato l’importanza della rapidità nell’implementazione di tali politiche. «Per le politiche che sono già state decise, dobbiamo agire prima possibile, per poi allineare la loro attuazione più da vicino alle dinamiche del mercato, assicurandoci che le compagnie private possano percepire i benefici di queste politiche».
Per quanto riguarda il tentativo di aumentare i consumi interni - la massima priorità del governo quest’anno - Lan ha affermato che le politiche fiscali agiranno sia sulla domanda che sull’offerta. Saranno emessi 300 miliardi di yuan (41,4 miliardi di dollari) in obbligazioni del Tesoro speciali a lunghissima durata, per sostenere i programmi di permuta di beni di consumo, il doppio dell’anno scorso.
Mentre, nel tentativo di potenziare la capacità di spesa delle famiglie, le misure pianificate o implementate includono l’innalzamento degli standard di pagamento per i fondi pensione statali, la fornitura di sussidi per l’assistenza all’infanzia e l’incoraggiamento alle banche a offrire un maggiore sostegno alle famiglie attraverso prestiti al consumo.
Il ministro delle Finanze ha anche sottolineato l’importanza di adottare misure proattive per espandere gli investimenti. A tal fine, la quota per i titoli del Tesoro speciali ultra-lunghi della Cina quest’anno è stata fissata a 1.300 miliardi di yuan, 300 miliardi di yuan in più rispetto all’anno scorso, quando il programma pluriennale è stato annunciato per la prima volta.
I proventi saranno utilizzati per favorire l’implementazione di importanti strategie nazionali e il rafforzamento delle capacità di sicurezza in aree chiave. Inoltre, la quota per i titoli speciali dei governi locali è stata aumentata di 500 miliardi di yuan rispetto all’anno scorso, arrivando a 4.400 miliardi di yuan. I proventi saranno utilizzati principalmente per investimenti in edilizia, acquisizione di terreni e case e saldo dei debiti dei governi locali con le imprese.
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