Perché i cinesi non spendono quanto vorrebbe il Partito
L'obiettivo primario del 2025 è aumentare i consumi, ma per centrarlo non bastano gli sconti, occorre ridurre le disuguaglianze
L’aumento dei consumi interni per sostenere la crescita rappresenta un traguardo inseguito da tempo dal Partito comunista cinese. Ora però convincere le famiglie a spendere è vieppiù urgente, perché - prevedono gli analisti cinesi - i nuovi dazi sulle importazioni negli Stati Uniti varati dall’amministrazione Trump avranno ricadute negative sull’economia globale, rallentando l’export di Pechino.
Il rapporto sul lavoro del governo presentato l’11 marzo scorso dal premier Li Qiang all’Assemblea nazionale del popolo (il parlamento) ha indicato l’aumento dei consumi come una priorità assoluta dell’agenda politica del paese per il 2025.
Questo perché - alla luce delle tensioni internazionali e delle trasformazioni dell’economia nazionale - per la Cina è necessario cambiare modello di crescita, diventando meno dipendente dalle esportazioni e dagli investimenti (i tradizionali motori del Pil della “fabbrica del mondo”), e puntando maggiormente sui consumi.
In teoria, esiste un ampio margine di aumento della spesa delle famiglie. Che tuttavia non è facile da innescare, per motivi culturali (come gli italiani, i cinesi sono un popolo di risparmiatori) e congiunturali (nelle fasi di incertezza, come quella attuale, tendono ancor più a mettere da parte il denaro, in vista di tempi difficili).
C’è però un fattore altrettanto importante, strutturale, che ha finora frenato l’agognato boom dei consumi: le disuguaglianze sociali, che fanno sì che un’ampia fetta della popolazione consuma poco semplicemente perché non ha reddito disponibile sufficiente per spendere di più.
Il 28 maggio 2020 Li Keqiang suscitò grande clamore rivelando che in Cina c’erano 600 milioni di persone che vivevano con un reddito mensile di circa 1.000 yuan, circa 125 euro. «È appena sufficiente a coprire l’affitto mensile in una città cinese di medie dimensioni», puntualizzò in una conferenza stampa a Pechino il premier cinese.
Gli ultimi dati della Banca mondiale indicano che in Cina le disuguaglianze pesano poco più che in Italia, avendo i due paesi registrato nel 2021 un coefficiente di Gini rispettivamente pari a 35,7 e 34,8.
Come sono cambiate le disparità tra la popolazione cinese cinque anni dopo, nel momento in cui il governo invoca l’aiuto dei consumatori per contrastare le pressioni esterne, ovvero il protezionismo di Trump e le tensioni internazionali?
Partiamo dai dati ufficiali. Nel primo trimestre 2025 l’Ufficio nazionale di statistica (Nbs) ha registrato un reddito disponibile mediano pro capite (un indicatore più preciso rispetto al reddito medio) di 13.450 yuan (circa 1.600 euro) per i residenti urbani e di 5.575 yuan (circa 690 euro) per quelli rurali. Mediamente, i cinesi che lavorano in città hanno una una disponibilità di denaro quasi tripla rispetto ai 465 milioni di connazionali che lavorano in aree rurali.