Cina e Usa iniziano a trattare
Venerdì in Svizzera parte il confronto per scongiurare una guerra commerciale di lunga durata
Benvenut* in Rassegna Cina.
Buongiorno da Shanghai da Michelangelo Cocco
L’amministrazione Trump ha annunciato ieri che il segretario al tesoro Scott Bessent e il rappresentante per il commercio Jamieson Greer voleranno domani in Svizzera, dove nel fine settimana incontreranno alti funzionari cinesi, per avviare trattative sul commercio tra i due paesi.
La delegazione di Pechino sarà guidata dal vice premier He Lifeng, che ha l’incarico di capo negoziatore per il commercio. Si tratterà del primo incontro di persona tra ministri dei due governi dopo il ritorno di Trump alla Casa bianca, il 20 gennaio scorso. Da allora Washington ha imposto tariffe del 145 per cento sulle importazioni dalla Cina, alle quali Pechino ha risposto con dazi del 125 per cento su quelle dagli Usa.
Negli ultimi giorni Pechino aveva preteso la rimozione dei dazi come condicio sine qua non per avviare un dialogo con l’avversario e mobilitato l’apparato di propaganda, che ha avvertito che «la Cina non si inginocchierà».
Tuttavia alla fine ha prevalso il tradizionale pragmatismo della Cina post-Mao, diventata il primo partner di 150 paesi, che l’anno scorso ha registrato un surplus commerciale globale di 992 miliardi di dollari e che dunque spera di spegnere sul nascere le fiamme della trade war.
E così con un comunicato il ministero del commercio di Pechino oggi ha dichiarato che:
Di recente, gli Stati Uniti hanno espresso la volontà di avviare un dialogo sui dazi e sulle questioni correlate attraverso diversi canali. Dopo un’attenta valutazione dei messaggi statunitensi, la Cina ha deciso di collaborare con gli Stati Uniti, tenendo conto delle aspettative globali, degli interessi nazionali e delle richieste dell’industria e dei consumatori americani.
Qualsiasi negoziato deve basarsi sul rispetto reciproco, sull’uguaglianza e sul reciproco vantaggio. Se gli Stati Uniti vogliono risolvere le questioni attraverso il dialogo, devono affrontare l’impatto negativo dei dazi unilaterali e rispettare le regole del commercio internazionale, l’equità e la giustizia, nonché le voci razionali di tutti i settori. Gli Stati Uniti devono dimostrare sincerità, correggere le proprie pratiche sbagliate e venire incontro alla Cina nel tentativo di risolvere le preoccupazioni di entrambe le parti attraverso una consultazione paritaria.
Se gli Stati Uniti dicono una cosa ma ne fanno un’altra, o addirittura usano i colloqui come cortina fumogena per continuare con coercizione ed estorsione, la Cina non lo accetterà mai, né comprometterà i suoi principi o sacrificherà l’equità e la giustizia internazionale solo per raggiungere un accordo.
Dall’incontro del fine settimana non è attesa alcuna svolta, tuttavia l’avvio di una trattativa è di per sé importante. «La mia sensazione è che si tratterà di una de-escalation, non di un grande accordo commerciale... ma abbiamo bisogno di una de-escalation prima di poter andare avanti», ha dichiarato ieri Bessent a Fox News.
L’obiettivo di Washington è un riequilibrio della bilancia commerciale con la Cina, nei confronti della quale nel 2024 ha accusato un deficit di 295 miliardi di dollari. Pechino deve puntare alla cancellazione dei dazi, nell’ambito di un accordo complessivo sul commercio con gli Stati Uniti, come il “Fase uno” siglato nel 2020, dopo la guerra commerciale del 2018-2019 con la prima amministrazione Trump.
Ma il “negoziatore” Trump avrà di fronte un avversario più ostico rispetto a cinque anni fa. La Cina infatti ha nel frattempo diversificato i suoi scambi internazionali, che sono meno dipendenti dagli Usa, ed è in una fase in cui la domanda interna langue. Inoltre chi ha più fretta di arrivare a un accordo sembrerebbe proprio l’amministrazione repubblicana, come segnalato tra l’altro dall’uscita di Trump secondo cui «i dazi al 145 per cento sono troppo alti e saranno ridotti».
Gli Usa infatti potrebbero presto dover fronteggiare la carenza di beni di ampio consumo importati dalla Cina. Un traffico che, nel porto di Los Angeles, si è ridotto del 50 per cento. Questo perché sia gli importatori che i rivenditori non sono interessati ad acquistare beni che, per effetto delle tariffs trumpiane, costerebbero al consumatore statunitense fino a due volte e mezzo il prezzo a cui erano venduti in precedenza.
Secondo la National Retail Federation, le importazioni negli Stati Uniti dovrebbero diminuire di almeno il 20 per cento su base annua nella seconda metà del 2025. Il calo dalla Cina sarà ancora più netto: JP Morgan prevede un calo delle importazioni dal 75 all’80 per cento.
Nonostante l’ondata di nuovi dazi ad aprile, gli economisti prevedono che l’impennata delle importazioni continuerà per almeno altre settimane, con l’arrivo in porto delle ultime spedizioni in mare prima dell’annuncio dei dazi del “Giorno della liberazione” di Trump.
«Le merci entreranno nel Paese esenti da dazi doganali se caricate su una nave nel porto di partenza o in rotta verso gli Stati Uniti prima della data di imposizione dei dazi e ricevute prima del 27 maggio», hanno scritto martedì gli economisti di Wells Fargo in una nota agli investitori. «Questo dà alle aziende un po' più di tempo per immettere i prodotti prima dei dazi e suggerisce che potremmo assistere a un ultimo tentativo disperato nei dati di aprile. Ma oltre a questo, prevediamo un rallentamento sostanziale degli scambi commerciali».
Bye Bye dollaro? l’Asean+3 userà lo yuan e altre valute regionali per fronteggiare le crisi finanziarie
Domenica scorsa, i ministri delle finanze e i banchieri centrali dei principali paesi asiatici si sono riuniti a Milano, dove hanno approvato un innovativo meccanismo di emergenza - denominato “capacità di finanziamento rapido” (Rff) - che segna una svolta storica: per la prima volta, gli interventi anti-crisi non saranno denominati in dollari statunitensi, ma in valute regionali, incluso lo yuan cinese.
La decisione è una risposta ai dazi dell’amministrazione Trump, che hanno destabilizzato il mercato dei titoli del Tesoro americano e innescato un’impennata delle valute asiatiche. Ma il nuovo strumento potrebbe anche avviare una transizione più ampia verso un sistema monetario regionale meno legato al biglietto verde e più incentrato sulla valuta cinese.
La Rapid Financing Facility rientra nel quadro della Chiang Mai Initiative Multilateralisation (CMIM), accordo di swap valutario nato dopo la crisi finanziaria asiatica del 1997 per aiutare i Paesi membri (Asean+3, ovvero le dieci nazioni del Sud-est asiatico più Cina, Giappone e Corea del Sud) in caso di squilibri nei pagamenti o carenza di liquidità. Finora, nessun Paese ha mai attivato questa linea di credito, che oggi dispone di una capacità di prestito di 240 miliardi di dollari, con Cina e Giappone come principali contributori.
La Rapid Financing Facility permetterà di erogare aiuti d’emergenza utilizzando lo yuan e altre monete locali, anziché il dollaro. La scelta è stata ratificata con il documento congiunto approvato al termine del vertice di Milano dell’Asean+3. Pechino ha definito la riforma un passo cruciale verso un sistema monetario multipolare, mentre gli analisti sottolineano che si tratta innanzitutto di un segnale politico, dato che il fondo non è mai stato utilizzato.

L’inclusione dello yuan nel CMIM rafforza il progetto cinese di internazionalizzazione della propria valuta, già spinto attraverso accordi commerciali, l’uso dello yuan digitale (testato con il progetto mBridge) e la sua crescente adozione come riserva valutaria. Tuttavia l’impatto concreto sul dollaro rimane, per ora, limitato: per valutarlo servirà vedere se e come il meccanismo verrà effettivamente utilizzato nei prossimi anni.
Sta di fatto che, mentre a Washington l’amministrazione Trump scatena tensioni commerciali internazionali, l’Asia sta costruendo alternative sempre più strutturate per ridurre la dipendenza dal sistema finanziario dominato dagli Usa. Questa ultima mossa potrebbe essere solo l’inizio di un cambiamento più profondo negli equilibri monetari globali.
In un comunicato pubblicato lunedì, il governatore della banca centrale cinese Pan Gongsheng ha elogiato la mossa come «una svolta nella diversificazione del sistema monetario internazionale nella regione» in un periodo di incertezza globale.
«L’inclusione dello yuan nel sistema CMIM riflette una crescente accettazione della valuta a livello globale e segna un passo avanti nella sua internazionalizzazione», ha affermato Ding Shuang, capo economista per la Greater China di Standard Chartered Bank.
La mossa arriva mentre Pechino accelera gli sforzi per espandere l’influenza globale dello yuan, incoraggiando l’uso della valuta cinese nel commercio, nella determinazione dei prezzi delle materie prime e nelle riserve valutarie.
Le autorità cinesi hanno anche cercato di incentivare l’uso transfrontaliero dello yuan digitale attraverso il Project mBridge, uno schema lanciato in collaborazione con le banche centrali di Hong Kong, Thailandia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.
Xi a Mosca alla parata di Putin
Xi Jinping sbarca oggi a Mosca, dove secondo quanto annunciato dall’agenzia Xinhua, «avrà una comunicazione strategica con il presidente Putin sulle relazioni Cina-Russia nelle nuove circostanze e su una serie di importanti questioni internazionali e regionali». Dunque in cima all’agenda dei due leader ci sarà un confronto sulle politiche dell’amministrazione Trump (Xi vorrà essere bene informato su cosa si sono detti Trump e Putin nelle scorse settimane), sulla guerra in Ucraina e sulle tensioni intorno a Taiwan e al Mar cinese meridionale.
Il presidente cinese (che ritornerà a Pechino sabato) sarà ospite di Putin per la Giornata della vittoria, nella quale si celebra la sconfitta del nazismo ad opera dell’Unione Sovietica. La Cina ha inviato alla parata di Mosca un centinaio di soldati del drappello d’onore dell’Esercito popolare di liberazione.
La presenza di truppe cinesi alla celebrazione della vittoria sovietica sui nazisti vuole mandare al mondo un messaggio preciso. Se le prime mosse “filo-russe” di Donald Trump avevano fatto immaginare un rapido “rapprochement” con gli Stati Uniti, ciò non toglie che Xi e Putin hanno instradato le relazioni bilaterali (inclusa la coopereazione tra i rispettivi eserciti) su un percorso dal quale difficilmente le due potenze (nucleari) torneranno indietro.
Nel 2024 è stato registrato un nuovo record nell’interscambio commerciale (237 miliardi di dollari di valore), il dialogo tra i rispettivi apparati politici e militari è continuo, così come il passaggio di businessman, studenti e turisti attraverso i 4.300 chilometri di frontiera comune. Come testimoniano i video del drappello d’onore osannato da centinaia di cinesi residenti a Mosca, diventati virali sui social.
Per tutti questi motivi, secondo Pechino, la quasi-alleanza con Mosca non risentirà di un eventuale avvicinamento della Russia di Putin agli Stati Uniti di Trump.
Il comunicato con il quale l’agenzia Xinhua ha preparato l’arrivo di Xi rivendica il contributo della Cina e della Russia alla sconfitta del Giappone e della Germania nazista e all’ordine internazionale nell’ambito delle istituzioni multilaterali vecchie e nuove (a guida sino-russa): Nazioni Unite, Shanghai Cooperation Organization, Brics.
La scorsa settimana la Cina ha inviato per la prima volta una grande formazione della guardia d’onore a Ho Chi Minh City per celebrare il 50° anniversario della caduta di Saigon, che ha segnato la fine della guerra civile in Vietnam.
La strategia di Xi di costruire un grande “blocco” asiatico anti-protezionismo fatto di diversi accordi bilaterali e multilaterali e la politica “volta a oriente” di Putin coincidono. In un’intervista trasmessa domenica scorsa dalla tv Ross1ya-1 il presidente russo ha sostenuto che già quando divenne presidente per la prima volta, nel 2000, erano evidenti i segnali che il centro della crescita economica globale si stava spostando a Est. Dōngshēng xījiàng: l’oriente è in ascesa, l’occidente è in declino, dicono in Cina.
Cosa sto leggendo
China’s economic pivot invites global recalibration Sadia Rahman
Small City, Big Spenders: The Rise of China’s New Consumer Class Li Xin