Lo stimolo a metà della Cina: obiettivo Pil al 5 per cento nel 2024
Pechino vara un pacchetto per rilanciare l'economia: aiuti massicci al settore immobiliare e al mercato azionario. La Reuters: in arrivo duemila miliardi per famiglie e imprese
Martedì 24 settembre il governo di Pechino ha annunciato un pacchetto di misure per sostenere la crescita incentrato su un allentamento della politica monetaria e sul sostegno al settore immobiliare. I provvedimenti illustrati dal governatore della Banca centrale (Pboc), Pan Gongsheng, sono stati giudicati dagli analisti cinesi come lo stimolo all’economia della Cina più sostanzioso dall’inizio della pandemia.
Di seguito le principali decisioni del governo centrale:
taglio (da 1,7 a 1,5 per cento) del tasso d’interesse a breve termine, per per aumentare la liquidità e favorire la riduzione di altri tassi nel sistema bancario;
riduzione, dello 0,5 per cento, del tasso d’interesse sui mutui in essere, per avvicinarlo a quello dei nuovi mutui. Secondo il governo gli acquirenti di case potranno così risparmiare 150 miliardi di yuan (21,1 miliardi di dollari) di interessi in media ogni anno, e ciò dovrebbe incoraggiarli - invece che ad affrettarsi a ripagare anticipatamente i mutui - ad aumentare la spesa e gli investimenti;
allentamento di mezzo punto percentuale (dal 10 al 9,5 per cento) del tasso di riserva obbligatorio (Rrr) delle banche, che - secondo Pan - libererà nel mercato finanziario liquidità pari a 1.000 miliardi di yuan (141 miliardi di dollari);
la caparra sull’acquisto delle seconde case verrà abbassata dal 25 al 15 per cento del valore dell’immobile, cioè allo stesso livello delle abitazioni principali;
la banca centrale finanzierà interamente il fondo da 300 miliardi di yuan per i prestiti alle imprese statali (Soe) che acquistano case invendute per trasformarle in unità abitative a prezzi sussidiati. A tal fine le Soe otterranno prestiti da 21 banche nazionali, che riceveranno poi l’intero capitale dalla Pboc, invece del 60 per cento come stabilito in precedenza;
500 miliardi di yuan a sostegno del mercato azionario. Per quanto riguarda il mercato dei capitali, viene istituito uno strumento di politica monetaria strutturale di 500 miliardi di yuan (70,9 miliardi di dollari), per consentire alle società finanziarie, a quelle di gestione dei fondi e alle compagnie di assicurazione di attingere liquidità al momento dell’acquisto di azioni tramite una linea di swap che impegna i loro beni per asset di alta qualità;
300 miliardi di yuan per aiutare le banche ad acquisti e riacquisti di azioni. Viene inoltre creato un sistema di rifinanziamento da 300 miliardi di yuan, con un tasso di interesse dell’1,75 per cento, per guidare le banche a sostenere i riacquisti e gli acquisti di azioni delle società quotate.
Che il governo stesse finalmente per muoversi si era capito qualche giorno fa, quando Xi Jinping, dalla tv di stato, aveva abbassato il tiro, dichiarando che «dobbiamo sforzarci di raggiungere gli obiettivi e i compiti di sviluppo economico e sociale per l’intero anno», mentre il comunicato che a luglio ha chiuso il III plenum del comitato centrale del partito aveva invitato perentoriamente a «rimanere fermamente impegnati» a tal fine.
Il traguardo del 5 per cento indicato per quest’anno si stava allontanando, dopo che il Pil era cresciuto del 5,3 per cento del primo trimestre e del +4,7 nel secondo, e i segnali non incoraggianti per il terzo che si chiude questo mese.
Gli ultimi dati pubblicati dall’Ufficio centrale di statistica segnalano infatti un aumento delle vendite al dettaglio (+2,1 per cento su base annua) al di sotto delle aspettative nel mese scorso, e un altro crollo degli investimenti immobiliari (-10,8 per cento nei primi otto mesi del 2024, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso). Gli investimenti privati tra gennaio e agosto sono calati dello 0,2 per cento su base annua e scesi al 50,98 per cento del complesso degli investimenti in capitale fisso.
Il pacchetto di politiche varato mira ad affrontare le pressioni sulla liquidità in cinque aree: settore immobiliare, banche, mercato azionario, famiglie, piccole e medie imprese (pmi). Per quanto riguarda queste ultime due, dovrebbero risentire indirettamente degli aiuti accordati alle prime tre.
In particolare, gli 800 miliardi di yuan (circa 102 miliardi di euro) complessivamente mobilitati a sostegno del mercato azionario sono stati accolti molto positivamente, come la dimostrazione della volontà di Pechino di stabilizzare il mercato e ridare fiducia agli investitori. Protagonista (assieme a China Securities Finance Corporation) sarà ancora il fondo sovrano Central Huijin Investment che nel primo trimestre 2024 ha già speso 330 miliardi di yuan (45,5 miliardi di dollari) acquistando per conto dello stato titoli di aziende incapaci di finanziarsi sul mercato azionario.
Resta il fatto che, secondo molti economisti cinesi, in mancanza di un deciso stimolo fiscale (cioè di un aumento della spesa per la sanità, l’istruzione e pensioni che contribuisca a liberare i consumi delle famiglie) è improbabile che le misure appena approvate possano alimentare la crescita in maniera significativa e prolungata.
Tuttavia, secondo quanto riferito all’agenzia Reuters da fonti qualificate, il governo starebbe per mettere sul piatto 2.000 miliardi di yuan (284 miliardi di dollari) emettendo obbligazioni che andrebbero a finanziare l’acquisto di beni di consumo da parte delle famiglie, macchinari per le imprese, nonché un sussidio mensile di 800 yuan (114 dollari) per le coppie con più di un figlio. Una metà dei bond sosterrebbe inoltre le casse dei governi locali maggiormente indebitati.
L’urgenza di varare un consistente stimolo fiscale è testimoniata anche dalla riunione di settembre dell’ufficio politico del Partito comunista cinese (Pcc), che ha anticipato di tre mesi la tradizionale discussione sulle politiche macroeconomiche e al termine della quale la leadership del Pcc ha fatto sapere che si avverte la necessità di «affrontare le difficoltà e rafforzare la fiducia» e di «intensificare gli aggiustamenti anticiclici». L’incontro ha sottolineato la necessità di «intensificare gli aggiustamenti anticiclici» attraverso le politiche fiscali e di «mantenere le spese fiscali necessarie».
Il giornale economico “Caixin” ha scritto che:
Mentre si intensifica il dibattito su un potenziale pacchetto di stimoli da 10mila miliardi di yuan (1.400 miliardi di dollari), dopo che Liu Shijin, ex vice capo del Centro di ricerca sullo sviluppo presso il Consiglio di Stato, ha proposto il piano in un forum una settimana fa, gli esperti concordano sul fatto che una ripresa economica sostenuta richiederà probabilmente un’azione governativa più vigorosa, che vada oltre le misure attuali.
ANALISI AGGIORNATA IL 30 SETTEMBRE 2024
Salta il voto dell’Ue sui dazi sull’importazione di auto elettriche cinesi: si cerca un difficile compromesso
«Incontro costruttivo con il ministro del commercio Wang Wentao. Entrambe le parti sono d’accordo a intensificare gli sforzi per trovare una soluzione efficace, applicabile e compatibile con la Wto al caso dei veicoli elettrici. Ciò senza condizionare l’inchiesta della Ue e le sue scadenze». Così Valdis Dombrovskis - il commissario al commercio e vice presidente della Commissione Ue - dopo l’incontro con Wang del 19 settembre scorso a Bruxelles.
In sostanza Cina e Unione europea hanno concordato di riesaminare la possibilità di fissare un prezzo minimo per i veicoli elettrici (Ev) prodotti in Cina importati nell’Ue, per evitare di imporre tariffe aggiuntive definitive fino al 35,3 per cento contro quella che per la seconda economia del pianeta è diventata una industria strategica.
Al termine di un faccia a faccia di otto ore, Dombrovskis ha criticato le indagini anti-sovvenzioni - avviate dalla Cina in risposta all’inchiesta “anti-sussidi” dell’Ue sugli Ev prodotti in Cina - sulle importazioni dall’Ue di brandy (che colpirebbe la Francia), sulla carne di maiale (contro la Spagna), e sui latticini, che ha definito “ingiustificate” e “basate su accuse discutibili e senza prove sufficienti”.
In seguito all’evidente spaccatura in seno ai governi dell’Unione e alle pressioni di Pechino, il voto sui dazi definitivi (che rimarrebbero in vigore per cinque anni) previsto per il 25 settembre è stato rimandato. Secondo fonti comunitarie potrebbe essere messo in calendario a partire dalla settimana prossima.
In assenza di un compromesso negoziato tra Bruxelles e Pechino, per bloccare i dazi che potrebbero scatenare una guerra commerciale tra i due blocchi sarebbe necessario il “no” di 15 paesi su 27, che rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione dell’Unione.
Una maggioranza molto difficile da raggiungere, nonostante l’attivismo dei grandi costruttori tedeschi che stanno facendo pressioni sui governi dei singoli paesi. Infatti anche se alla contrarietà della Germania si è aggiunta quella della Spagna (che aveva votato “sì” ai dazi provvisori), altri paesi importanti (tra cui Francia, Italia, Polonia, Olanda) restano favorevoli all’aumento dei dazi.
Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha affermato nei giorni scorsi che il suo governo «sostiene la posizione dell’Ue» sui dazi sui veicoli elettrici importati dalla Cina.
Gli Usa sorpresi dalla capacità di innovazione della Cina
Il sistema dell’innovazione della Repubblica popolare cinese è molto più avanti di quanto gli Stati Uniti pensassero e ha conquistato già il primato in alcuni settori, mentre in molti altri potrebbe avere bisogno di un decennio per raggiungere o superare i concorrenti occidentali. Così le conclusioni del rapporto “China Is Rapidly Becoming a Leading Innovator in Advanced Industries”, redatto dalla International Technology and Innovation Foundation (Itif), presentato mercoledì scorso al Congresso degli Stati Uniti.
Il report è il risultato di 20 mesi di ricerca sulla capacità d’innovazione di 44 compagnie cinesi, in settori chiave quali semiconduttori, veicoli elettrici, intelligenza artificiale e nucleare. L’analisi del think tank con sede a Washington è basata su parametri quali: investimenti in R&D, personale, team aziendali dedicati, quote di mercato e riconoscimenti internazionali ottenuti.
Secondo lo studio dell’Itif, i settori nei quali la Cina è già in vantaggio sono:
veicoli e batterie elettriche;
nucleare.
Per quanto riguarda i veicoli elettrici, la ricerca sottolinea che la Cina attualmente produce il 62 per cento dei veicoli elettrici mondiali e il 77 per cento delle batterie per veicoli elettrici del mondo. Il ricercatore dell’Itif Stephen Ezell ha ricordato che nel 1985 la Cina fabbricava 5.200 automobili, mentre le stime per il 2024 arrivano a 26,8 milioni, ovvero il 21 per cento della quota globale, che dovrebbe salire al 30 per cento entro il 2030.
Sulla produzione di centrali nucleari, la Cina sarebbe 10-15 anni avanti rispetto agli Stati Uniti, capace già di costruire reattori nucleari di quarta generazione su larga scala, il primo dei quali, Shidaowan, è entrato in funzione il 6 dicembre scorso nella provincia settentrionale dello Shandong.
Entro il 2030, si prevede che la Cina supererà gli Stati Uniti nella produzione di energia nucleare, essendo già diventata il primo paese a implementare operativamente reattori avanzati di quarta generazione con nuovi design e sistemi di sicurezza passiva.
Per quanto riguarda il settore bio-farmaceutico, lo studio di Itif rileva che la Cina è ancora indietro rispetto ai leader Usa e occidentali, ma che, tra il 2002 e il 2019, ha quadruplicato il suo valore aggiunto.
Discorso simile per quanto riguarda la robotica, con l’eccezione di Kuka, la compagnia tedesca acquistata nel 2016 dalla cinese Midea. Inoltre nel 2023 la Cina ha prodotto 430.000 robot industriali, mentre nel triennio 2021-2023 l’installazione di nuovi robot in Cina ha sempre superato la metà del totale globale: dunque è ancora da valutare l’impatto che ciò avrà sul sistema industriale.
Anche sui microprocessori la Cina ha un ritardo di due-cinque anni: il nuovo Kirin 9000 che funge da cervello degli smartphone Huawei di alta gamma è il frutto di una capacità di adattamento delle tecnologie in essere piuttosto che di una svolta innovativa da parte del colosso di Shenzhen, sotto sanzioni Usa dal 2019.
A tal proposito l’Itif non ha nascosto i possibili “effetti collaterali” delle restrizioni varate dall’amministrazione Biden, che ha bloccato l’esportazione verso la Cina dei microchip più avanzati (ad esempio quelli della californiana Nvidia) e dei macchinari per fabbricarli (come quelli dell’olandese Asml). Avere nello stesso tempo rinunciato, lasciandola nelle mani dei concorrenti-avversari, alla manifattura dei processori meno performanti, potrebbe rendere una gran quantità di industrie (compresa quella dell’automotive) dipendente da tecnologia cinese, dal momento che i microchip più avanzati, sulla cui manifattura hanno scommesso gli Stati Uniti, vengono in realtà impiegati solo in categorie piuttosto ristrette di prodotti hi-tech.
Inoltre il 70 per cento degli studenti cinesi nelle materie scientifiche e tecnologiche non rimangono negli Usa dopo essersi laureati nelle loro università, ma vanno ad alimentare la ricerca nelle aziende e nei laboratori statali cinesi.
Per questo a Washington la linea prevalente resta quella del decoupling tecnologico dalla Cina. A conclusione della presentazione del report dell’Itif, il deputato repubblicano John Moolenaar, neo presidente del (bipartisan) Comitato speciale della Camera sulla competizione strategica tra gli Stati Uniti e il Partito comunista cinese, ha dichiarato: «Le restrizioni alle esportazioni e ai capitali in uscita sono una condizione necessaria per la nostra vittoria sul Pcc, e combinando questi strumenti con investimenti nella nostra innovazione, possiamo vincere».
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