Tutto il potere al partito-stato
Riformata la legge voluta da Deng per separare le funzioni: il governo diventa un esecutore delle direttive del partito comunista
Buongiorno da Shanghai.
Il Partito comunista cinese (Pcc) ha ridotto ulteriormente l’autonomia del Consiglio di stato (il governo della Repubblica popolare cinese) con il varo della riforma del testo unico sul Consiglio di stato (2.883 “sì”, 8 “no” e 9 astenuti) da parte della II sessione della XIV Assemblea nazionale del popolo che si è chiusa l’11 marzo scorso a Pechino.
In seguito agli emendamenti approvati, la legge ora stabilisce che il governo deve “sostenere risolutamente l’autorità del comitato centrale del partito e la sua leadership centralizzata e unificata”, che deve “attuarne le decisioni” e seguire gli insegnamenti politici dei massimi leader, incluso il segretario generale Xi Jinping.
Secondo Deng Yuwen, ex direttore di “Study Times”, il giornale della Scuola centrale di partito:
«L’era della separazione del lavoro tra partito e governo è ormai finita: dopo quattro decenni, la Cina è ora incentrata sulla leadership del partito. Xi ha accentrato tutti i principali poteri decisionali nel partito e nel suo segretario generale, rendendo il Consiglio di stato solo un braccio per eseguire le decisioni politiche del partito. Ha attribuito a Li Qiang il ruolo di premier per assicurarsi che il Consiglio di stato svolga esattamente la funzione che gli è stata assegnata».
Da organismo che contribuisce all’elaborazione delle politiche a mero attuatore delle direttive del vertice del partito dunque, in linea con l’impostazione della leadership uscita dal XVIII congresso e consolidatasi nel XIX (18-24 ottobre 2017), quello aperto da Xi con la citazione di Mao Zedong: «Il governo, l’esercito, la società e le scuole, da nord a sud, da levante a ponente il partito dirige tutto».
Sottrarre poteri agli organismi dello stato a vantaggio di quelli del partito, e concentrarli nel vertice di quest’ultimo è la ricetta utilizzata dalla V generazione di leader incarnata da Xi Jinping per rispondere a una crisi inedita, nella quale alle difficoltà interne (dal rallentamento della crescita economica alle proteste di massa del movimento pro-democrazia di Hong Kong del 2019-2020) si sommano le tensioni internazionali, in primis il confronto con gli Stati Uniti.
Il vice presidente del comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, Li Hongzhong, l’ha spiegata così: «La politica è al comando, e sia i quadri di partito che la burocrazia del governo sono tenuti a prestare sempre maggiore attenzione ai dettami e alle direttive ideologiche del partito come guida per il processo decisionale quotidiano».
Era stato Deng Xiaoping a spingere per la separazione tra partito ed esecutivo (che, ufficialmente, controlla i 21 ministeri e i governi locali), che era stata formalizzata nella (appena emendata) legge sul Consiglio di stato del 1982.
Il partito aveva ripreso l’iniziativa dopo la repressione del movimento di piazza Tiananmen del 1989, in seguito all’affermazione della fazione conservatrice. Ma è soltanto con la “Nuova era” proclamata da Xi Jinping che si è arrivati, attraverso una serie di riforme (Xi ha concentrato gran parte della sua azione proprio sulla riforma del partito), a un controllo pressoché completo del Consiglio di stato da parte del Pcc.
Grazie al rafforzamento di una serie di comitati di partito (competenti sulla politica estera, le finanze, la propaganda, la sicurezza interna, eccetera) i vertici del Pcc hanno sottratto iniziativa politica al governo.
Infine, sono state ridotte le riunioni del Consiglio di stato (da una ogni settimana a due-tre al mese) e, da quest’anno, è stata abolita la tradizionale conferenza stampa del premier (che presiede il Consiglio di stato) in chiusura della sessione annuale dell’Assemblea nazionale del popolo.
L’Ue prepara dazi retroattivi contro le auto elettriche cinesi
Con la pubblicazione il 5 marzo scorso sul Giornale ufficiale dell’Unione europea di un regolamento ad hoc, l’Europa a 27 ha iniziato una speciale registrazione doganale dei veicoli elettrici (Ev) importati dalla Cina. Questa misura permetterebbe l’imposizione di dazi retroattivi qualora l’inchiesta anti-sovvenzioni avviata dalla Commissione Ue il 4 ottobre scorso concludesse che gli Ev made in China godono di sovvenzioni statali dannose per la concorrenza nel mercato Ue.
Nei giorni scorsi l’organismo presieduto da Ursula von der Leyen ha fatto sapere di disporre «di sufficienti elementi di prova tendenti a indicare che le importazioni del prodotto in esame dalla Repubblica popolare cinese sono oggetto di sovvenzioni» e ha denunciato un aumento massiccio delle importazioni di Ev cinesi da quando è scattato il procedimento.
In realtà l’incremento dell’import di Ev cinesi nell’Ue rientra in una tendenza che predata l’apertura dell’inchiesta da parte della Commissione e sembra rispondere alla domanda di macchine elettriche nei paesi europei.
«La Cina esprime grande preoccupazione al riguardo e l’industria è estremamente preoccupata per i dazi retroattivi che l’Ue potrebbe adottare in futuro», ha replicato il ministero del commercio. Secondo Pechino l’incremento delle importazioni di Ev cinesi nell’Ue (177.839 unità tra ottobre 2023 e gennaio 2024) è in linea la domanda dei consumatori europei, cresciuta nel 2023 del 37 per cento rispetto all’anno precedente.
Mentre Pechino attende l’esito dell’inchiesta Ue (che dovrebbe arrivare a novembre), le case automobilistiche cinesi si stanno attrezzando per produrre Ev in Europa, in maniera da aggirare il probabile aumento dei dazi (attualmente del 10 per cento, mentre le auto europee pagano tra il 15 e il 25 per cento per entrare nella Rpc). Dopo l’annuncio della costruzione di un impianto di BYD in Ungheria, del quale abbiamo dato conto in un precedente numero di Rassegna Cina, si parla anche della possibilità di uno stabilimento produttivo in Italia.
Nelle scorse settimane Adolfo Urso ha confermato che il governo Meloni sta cercando un secondo produttore da affiancare a Stellantis, che vorrebbe convincere ad aumentare la produzione italiana a 1 milione di unità entro la fine del decennio. Se altre 300 mila le facessero i cinesi, sarebbe possibile raddoppiare la produzione del 2023 (800.000). A tal fine il ministro dell’industria ha incontrato i dirigenti di tre compagnie, delle quali non sono stati rivelati i nomi.
Si è parlato di BYD, ma il direttore per l’Europa, Michael Shu, ha fatto sapere che è ancora troppo presto per decidere se, oltre a quello in costruzione Ungheria, la sua azienda avrà bisogno di un altro stabilimento europeo. Poi di Chery - l’esportatore cinese numero uno per volumi - che sarebbe disposto sia a utilizzare una fabbrica già in funzione, sia a costruirne una nuova di zecca. Ma l’azienda di Wuhu - non particolarmente forte negli Ev - ha messo gli occhi sull’ex impianto Nissan di Barcellona, dopo aver avviato la produzione in Brasile e avendo nuove fabbriche in costruzione in Argentina e progetti per il Regno Unito. Si pensa anche a Great Wall Motor, mentre per lo stabilimento torinese di Mirafiori si era ipotizzato Leapmotor, un produttore di Hangzhou non esattamente di primo livello, di cui Stellantis ha acquisito il 20 per cento.
Superata Tesla, ora BYD rincorre Ferrari e Lamborghini
BYD ha lanciato la sfida a Ferrari e Lamborghini con la supercar elettrica “Yangwang U9” (velocità massima 309 km/h). Da qualche giorno la compagnia di Shenzhen ha iniziato ad accettare e richieste per il nuovo modello che sarà messo in vendita, a partire da metà 2024, a 1,68 milioni di RMB (233.400 USD). Macchine “simili” come la Ferrari “Roma” a benzina e la Lamborghini “Huracan” hanno un prezzo di 2,76 milioni e 2,54 milioni di RMB, rispettivamente il 64 e il 51 per cento in più rispetto alla “Yangwang U9”.
Ma i punti di forza di BYD non si limitano al prezzo. La tecnologia è l’altro elemento fondamentale che le ha permesso di scavalcare Tesla, diventando nel quarto trimestre 2023 il principale produttore globale di auto elettriche (Ev).
I pacchi batteria al litio-ferro-fosfato di BYD - nei quali le celle sono disposte in modo da aumentare la densità energetica migliorando al tempo stesso la resistenza al surriscaldamento - si sono rivelati particolarmente apprezzati dai consumatori e dalle case automobilistiche cinesi.
Inoltre le auto elettriche BYD sono dotati del sistema DiSus, che garantisce che il veicolo sia agile e compatibile a quasi tutti gli scenari di guida, riducendo il rischio di ribaltamento e lo spostamento degli occupanti durante le curve ad alta velocità, le accelerazioni o le frenate d’emergenza.
Dopo aver lanciato lo scorso autunno il SUV di lusso U8, con la “Yangwang U9”BYD punta a emancipare definitivamente il suo brand dall’immagine di produttore di auto elettriche a basso costo, mediamente al di sotto di 200.000 RMB, ovvero circa un terzo in meno rispetto al prezzo delle Tesla in Cina.
Sia per la Ferrari che per la Lamborghini quello cinese rappresenta il terzo mercato globale, dove però entrambe l’anno scorso hanno registrato una flessione nel numero di veicoli consegnati. Nel 2023 Ferrari ha venduto in Cina (comprese Hong Kong e Taiwan) 1.490 auto, il 4 per cento in meno rispetto al 2022 (1.552). Nello stesso anno Lamborghini ha venduto in Cina 845 auto (1.018 nel 2022).
L’arrivo della prima Ferrari elettrica è stato confermato per il 2025, mentre l’estate scorsa anche Lamborghini ha presentato la sua prima auto elettrica, la “Lanzador”, che sarà in vendita a partire dal 2028. Chissà nel frattempo quanti modelli di supercar avranno sfornato i produttori cinesi.
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