Dazi Usa-Cina, a che punto è la notte
Il piano di Pechino per resistere alla guerra commerciale scatenata da Trump
Benvenut* in Rassegna Cina.
Nell’introduzione di questo numero della newsletter interamente dedicato alla guerra commerciale Stati Uniti-Cina ci limitiamo a darvi un consiglio: non perdetevi il video di YouTube dell’imitatore di Trump (da Chongqing, Sichuan) che spopola sui social cinesi, che abbiamo inserito alla fine di questo post, prima della cronologia della guerra commerciale Usa-Cina. È davvero “tre-men-dous!”.
Buongiorno da Shanghai da Michelangelo Cocco.
La somma dei dazi fin qui varati dall’amministrazione Trump va dal 145 al 245 per cento del valore dei beni importati negli Stati Uniti dalla Cina. A chiarirlo è una scheda informativa della Casa Bianca. In senso inverso Pechino ha risposto con una rappresaglia complessivamente del 125 per cento sulle importazioni dagli Usa.
La seconda guerra commerciale scatenata da Donald Trump rischia di causare una recessione globale nel 2025. Ciononostante finora nessuna delle due parti ha dato segnali di voler fare un passo indietro.
L’ambasciatore cinese a Washington, Xie Feng, ha evocato l’incubo della Grande depressione:
Non puoi semplicemente curare un mal di testa concentrandoti solo sul dolore alla testa o un mal di piedi prendendo di mira solo i piedi. E certamente non dovresti prescrivere farmaci ad altri quando quello malato sei tu. […]
La lezione dello Smoot-Hawley Act è ancora attuale oggi. Se le catene di approvvigionamento vengono bloccate, ciò porterà a carenze, aumento dei prezzi e danni alle persone ovunque.
Il ministero del commercio di Pechino ha risposto che:
La minaccia degli USA di aumentare i dazi sulla Cina è un grave errore che si aggiunge a uno già esistente, e che ancora una volta espone la natura ricattatoria degli USA. La Cina non accetterà mai questo. Se gli USA insistono a modo loro, la Cina combatterà fino alla fine.
Dunque, a meno che non venga annunciata una “tregua” da parte di Washington (corporate America sta facendo sentire la sua voce contro i dazi, ma Trump ha ribadito di voler tirare dritto), o un’intesa Usa-Cina per far partire un negoziato:
il 9 aprile entreranno in vigore i nuovi dazi statunitensi del 34 per cento sull’importazione delle merci cinesi;
il 10 aprile saranno effettive le tariffe del 34 per cento sui beni importati dagli Stati Uniti varate in risposta da Pechino.
Dazi che, sommati a quelli già in vigore, avrebbero l’effetto di rendere proibitivo il commercio tra le due sponde del pacifico di tante categorie di prodotti.
Gli Usa come un vecchio impero
Nei toni e nella tattica di Trump sono evidenti gli echi dell’imperialismo ottocentesco, che nelle scuole, nelle università, nei musei, nei film e sui social cinesi viene ricordato in maniera martellante come alla base del “secolo dell’umiliazione nazionale”, durante il quale la Cina perse la sua centralità nel mondo a causa dell’invasione straniera, oltre che della decadenza della sua ultima dinastia, i Qing.
Quando Trump dichiara - come ha fatto nelle ultime ore - che «stiamo per aprire la Cina» (come viene tuttora ricordata in occidente la motivazione per le guerre dell’oppio), dettando un ultimatum alla Cina per gettare la spugna (oggi alle 12:00 Usa), dopo averle dato nel 2020 dell’untrice globale, non può che provocare una risposta dura da parte di Pechino. La legittimità del Partito comunista cinese (Pcc) risiede infatti anche nella sua capacità di rendere la Cina nuovamente “ricca” e “forte”, secondo l’adagio del filosofo legista Han Feizi (fùguó qiángbīng: arricchire il paese e rafforzare l’esercito) fatto proprio da tutti i riformatori e rivoluzionari cinesi dalla seconda metà dell’Ottocento, Xi Jinping incluso.
Dunque il Pcc non può mostrarsi debole di fronte all’opinione pubblica interna che - contrariamente a ciò che si ritiene in occidente - non solo esiste, ma conta e ha anche canali attraverso i quali far sentire la sua voce.
Sottovalutando il contributo della storia nell’orientare l’azione degli attuali leader cinesi, l’amministrazione Trump confida in maniera eccessiva nei muscoli dell’America, che negli ultimi decenni si sono sgonfiati, mentre nuove potenze regionali e una globale (la Cina) sono avanzate sulla scacchiera internazionale.
Durante un evento he si è tenuto ieri presso il conservatore Hudson Institute, Stephen Miran - presidente del comitato dei consiglieri economici di Trump - ha sostenuto che l’economia cinese, fortemente dipendente dalle esportazioni verso i mercati avanzati, non ha la flessibilità necessaria per trovare rapidamente alternative commerciali agli Stati Uniti. «Non c’è sostituto per la domanda americana», ha aggiunto Miran, perché per la struttura industriale della Cina è difficile assorbire le perdite derivanti dall’accesso ridotto al mercato statunitense.
In Cina c’è, com’è ovvio, preoccupazione per l’impatto che una guerra commerciale prolungata avrebbe sull’economia nazionale, perché un ulteriore rallentamento della crescita rischierebbe di compromette l’obiettivo di allargare la classe media (circa 400 milioni di persone), alimentando lo scontento tra chi è rimasto indietro.
Ieri un editoriale massicciamente circolato sui social il Quotidiano del popolo (organo ufficiale del comitato centrale del Pcc) ha provato a tranquillizzare la popolazione indicando possibili vie d’uscita da quella che viene definita una “crisi” da “trasformare in opportunità”. Con l’articolo pubblicato in prima pagina il giornale ha esortato la nazione a “resistere alla tempesta” e ha spiegato la decisione del governo di rispondere immediatamente alle tariffe di Trump.
In sostanza il partito ha ribadito quello che va ripetendo da mesi, che cioè l’esperienza maturata dalla precedente commerciale ha permesso alla Cina di approntare una serie di misure per affrontare il ritorno di Tariff Man e dei suoi dazi. Secondo il Quotidiano del popolo l’”abuso” dei dazi da parte degli Usa avrà un impatto sulla Cina, ma "il cielo non crollerà".
I dati sulla “interdipendenza”
Il giornale ha ricordato che la Cina ha ridotto la sua dipendenza dal mercato statunitense, con le esportazioni verso gli Usa come quota delle spedizioni in uscita totali in calo al 14,7 per cento nel 2024 dal 19,2 per cento nel 2018. Al contrario, gli Stati Uniti dipendono dalla Cina non solo per numerosi prodotti di consumo, ma anche per molti beni intermedi, e le alternative sono difficili da reperire a livello globale nel breve termine, ha avvertito il portavoce del Partito Comunista.
A tal proposito un esempio importante sono le terre rare, fondamentali per l’hi-tech, di cui la Cina detiene il 90 per cento circa della produzione e che gli Usa importano per circa il 50 per cento dalla Cina. E tra le rappresaglie di Pechino c’è proprio un aumento delle restrizioni alle esportazioni di terre rare.
Se, come sostiene il Quotidiano del popolo, «un calo delle esportazioni dirette negli Stati Uniti non avrà un impatto dirompente sul complesso della nostra economia», è chiaro tuttavia che - se le tariffe Usa rimanessero dell’entità in vigore da domani -, esse avrebbero un impatto negativo significativo sull’economia cinese, essendo quello a stelle e strisce un mercato di sbocco molto importante per la Cina.
L’anno scorso il valore degli scambi Cina-Stati Uniti ammontava a 582 miliardi di dollari, con un deficit per gli Usa di 295 miliardi. Secondo i dati ufficiali Usa - nel 2024 gli Stati Uniti hanno importato beni per 438,9 miliardi di dollari (+2,8 per cento) e verso la quale nello stesso anno ne hanno esportati per un valore di 143,5 miliardi di dollari (-2,9 per cento), registrando un deficit commerciale di 295,4 miliardi di dollari (+5,8 per cento rispetto al 2023).
Ma i dati dicono anche che la presunzione di Trump di strappare concessioni servendosi dei muscoli dei consumatori a stelle e strisce si rifà a un mondo che non esiste più. Nel 2024 infatti il principale partner della Cina è stata la dinamicissima Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean) con la quale ha scambiato beni per 962 miliardi di dollari.
E che dire del grosso dell’Asia orientale, Giappone (266 miliardi di interscambio nel 2023) e Corea del Sud (322 miliardi l’anno scorso), paesi con i quali Pechino ha avuto relazioni a tratti tese negli ultimi anni? Qualche giorno fa si sono accordati con la Cina per rafforzare la cooperazione commerciale. E il ministro del commercio, Wang Wentao, ha dichiarato detto che Pechino punta a migliorarla anche con l’Unione Europea. La tela diplomatica tessuta a Pechino negli ultimi mesi potrebbe insomma riservare spiacevoli sorprese al supereroe dei dazi.
Cosa vuole davvero Tariff Man
Domenica Trump ha dichiarato che non farà alcun accordo con la Cina a meno che non venga risolto il divario commerciale di «centinaia di miliardi di dollari» tra le due maggiori economie del mondo. La strategia di Trump poggia sull’idea che gli Stati Uniti (il mercato di consumatori più ricco del pianeta) imponendo pesanti dazi possano trattare un riequilibrio della bilancia commerciale con i tanti paesi rispetto ai quali registrano un deficit.
La Cina tra l’altro viene doppiamente colpita, perché i dazi Usa hanno colpito, tra gli altri, Vietnam e Cambogia (46 e del 49 per cento rispettivamente), paesi nei quali molte compagnie cinesi hanno localizzato la produzione negli ultimi anni.
La riduzione delle importazioni dall’estero incentiverebbe inoltre il rientro negli States di aziende che negli ultimi decenni hanno localizzato la produzione all’estero (soprattutto in Cina), favorendo la reindustrializzazione degli Stati Uniti, e dunque l’occupazione.
Stesso effetto avrebbe un altro obiettivo di Trump, quello di deprezzare il dollaro per favorire le esportazioni degli Stati Uniti. Ma, anche in questo caso, le stesse corporation che trovano tuttora vantaggioso produrre in Cina - non tanto per il costo del lavoro (aumentato costantemente), quanto per le filiere complete presenti nel paese, la logistica, la specializzazione degli operai e i mercati di sbocco cinesi e asiatici - dovrebbero prima aver ottenuto vantaggi altrettanto significativi per rientrare negli Usa.
Le tariffe - calcolate come percentuale del valore della merce importata - vengono generalmente pagate al governo dalle aziende importatrici. Negli Stati Uniti dazi possono:
finire nelle casse del governo federale;
possono essere una forma di “redistribuzione” dai consumatori ai produttori nazionali;
possono influenzare i mercati globali, spostando strategicamente i prezzi globali o fungendo da sanzione contro paesi e/o aziende esportatrici straniere.
La Cina è la “fabbrica del mondo” che, nel 2024, ha registrato un surplus commerciale globale di 992 miliardi di dollari. Il prodotto interno lordo (Pil) della Cina è cresciuto del 5 per cento nel 2024, raggiungendo circa 135 mila miliardi di RMB (circa 19 mila miliardi di dollari). Le esportazioni del paese sono cresciute del 7,1 per cento anno su anno (più del Pil), raggiungendo i 25.000 miliardi di RMB (circa 3.500 miliardi di dollari) lo scorso anno, segnando l’ottavo anno consecutivo di crescita.
Le prossime mosse di Pechino
Sicuramente, in assenza di un accordo Cina-Stati Uniti, le nuove misure varate da Trump avranno nel medio periodo ripercussioni negative sull’economia della Cina. I dazi del 34 per cento effettivi da domani, sommati a quelli del 20 per cento approvati nelle scorse settimane e a quelli dell’11 per cento voluti da Joe Biden in base alla “Section 301” della legge sul commercio, portano le tariffe sui beni importati negli Usa dalla Cina al 65 per cento, più di quanto minacciato da Trump in campagna elettorale. Imposte che rendono per la Cina le esportazioni verso gli Usa proibitive.
È dunque probabile che, nei prossimi due-tre mesi, quando si saranno esaurite le merci in eccesso che le compagnie cinesi hanno esportato negli ultimi mei per eliminare temporaneamente l’effetto delle tariffe, l’impatto sull’economia cinese rischia di essere pesante: del valore dell’1,5-2 per cento del Pil in meno secondo le prime stime.
Rebus sic stantibus, nelle prossime settimane il governo di Pechino con ogni probabilità:
annuncerà un massiccio piano di stimolo della domanda interna, che potrebbe essere simile per entità a quello messo in campo durante la crisi finanziaria del 2008-2009, pari a 4.000 miliardi di RMB, 586 miliardi di dollari;
continuerà a orientare sempre più il suo commercio internazionale verso gli altri blocchi economici: Asean, Giappone, UE (con la quale sta cercando di riprendere il discorso sul trattato bilaterale congelato “Comprehensive Agreement on Investment”.
Lo stesso editoriale del Quotidiano del popolo ricorda che Pechino ha dato priorità all’espansione della domanda dei consumatori in patria come “strategia a lungo termine”, in un contesto di riduzione dello spazio per il commercio diretto negli Stati Uniti.
Solo che questo è (molto) più facile a dirsi che a farsi, perché per convincere i cinesi (che sono grandi risparmiatori) a spendere di più è necessario rafforzare istruzione, sanità e welfare, un problema annoso, mai finora affrontato in maniera “decisiva”.
Tuttavia non è affatto da escludere che, così come l’embargo hi-tech degli Stati Uniti contro la Cina ha accelerato la rincorsa e gli investimenti di Pechino in questo settore (con risultati che, in pochi anni hanno sbalordito il mondo), allo stesso modo questa seconda guerra commerciale di Trump possa contribuire a stimolare la domanda interna della Cina.
L’editoriale ha ricordato che la Cina ha “ampio margine” per implementare politiche monetarie, come tagli al coefficiente di riserva obbligatoria per le istituzioni finanziarie e ai tassi di interesse della banca centrale, nonché strumenti come obbligazioni speciali e obbligazioni sovrane, insieme a misure “straordinarie” per aumentare i consumi interni.
Concludendo che «possiamo trasformare le crisi in opportunità e continuare a guardare in avanti».
Cronologia della guerra commerciale Usa-Cina
Marzo 2017
Poco dopo essere stato eletto per la prima volta presidente, Donald Trump, con l’intenzione di ridurre i deficit commerciali degli Stati Uniti con gli altri paesi, firma un ordine esecutivo che chiede un’applicazione più rigorosa delle tariffe doganali nei casi anti-dumping.
Aprile 2017
Durante una visita a Pechino, Trump e il presidente cinese Xi Jinping concordano un piano di 100 giorni per colloqui commerciali volti a ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti con la Cina. Colloqui commerciali che però falliscono a luglio.
Agosto 2017
Trump avvia un’indagine sul presunto furto da parte della Cina di proprietà intellettuale statunitense, che gli Stati Uniti stimano ammonti a circa 600 miliardi di dollari all’anno.
Gennaio 2018
Gli Stati Uniti annunciano tariffe del 30 per cento sui pannelli solari importati, che provengono principalmente dalla Cina.
Aprile 2018
Pechino risponde con dazi su importazioni statunitensi per un valore di circa 3 miliardi di dollari, tra cui dazi del 15 per cento su prodotti come frutta, noci, vino e tubi di acciaio, e tariffe del 25 per cento su carne di maiale, alluminio riciclato e altri sei tipi di beni.
Un giorno dopo, gli Stati Uniti alzano la posta in gioco imponendo una tassa del 25 per cento sui beni cinesi provenienti dall’industria aerospaziale, dei macchinari e medica per un valore di circa 50 miliardi di dollari. La Cina replica con dazi del 25 per cento su aeromobili, automobili, soia e prodotti chimici tra le altre importazioni, per un valore di circa altri 50 miliardi di dollari.
Giugno-agosto 2018
I due paesi impongono almeno altri tre cicli di dazi e conto-dazi che impattano su oltre 250 miliardi di dollari di beni cinesi e più di 110 miliardi di dollari di importazioni statunitensi in Cina. Questi includono dazi del 10 per cento su 200 miliardi di dollari di beni cinesi, con entrata in vigore a settembre 2018, e che dovrebbero aumentare al 25 per cento dal 1° gennaio 2019.
Dicembre 2018-maggio 2019
Washington e Pechino non riescono a definire un accordo commerciale dopo aver concordato a dicembre 2018 di sospendere nuovi dazi. Dopo il fallimento dei colloqui, Trump va avanti e aumenta i dazi dal 10 per cento al 25 per cento su 200 miliardi di dollari di beni cinesi.
Maggio 2019
Washington vieta alla società tecnologica cinese Huawei di acquistare parti e componenti da aziende statunitensi.
Giugno 2019
Trump e Xi concordano in una telefonata di riprendere i colloqui commerciali, che tuttavia incontrano numerosi ostacoli nei cinque mesi successivi.
Gennaio 2020
Gli Stati Uniti e la Cina firmano un accordo commerciale “Fase Uno”, attraverso il quale la Cina si impegna ad acquistare 200 miliardi di dollari di beni e servizi statunitensi in più nei due anni successivi. Tuttavia, secondo il Peterson Institute for International Economics, la Cina - colpita nel frattempo dall’epidemia di Covid-19 - non ha acquistato nessuno dei beni extra previsti dall’intesa.
Ottobre 2022
Il nuovo presidente, Joe Biden, mantiene la maggior parte delle tariffe emanate sotto Trump, ed emette nuove e radicali restrizioni sulla vendita di semiconduttori e apparecchiature per la produzione di chip alla Cina. L’amministrazione Biden vara il “CHIPS and Science Act”. Queste limitazioni saranno ampliate nell’ottobre 2023 e nel dicembre 2024.
Febbraio 2024
Durante la sua campagna elettorale, Trump afferma che, se otterrà un secondo mandato, imporrà dazi di almeno il 60 per cento su tutte le importazioni cinesi.
Maggio 2024
Biden aumenta le tariffe sui veicoli elettrici (portandole al 100 per cento), sulle celle solari (al 50 per cento), sulle batterie per veicoli elettrici (al 25 per cento), sull’acciaio, sull’alluminio e sulle apparecchiature mediche importati dalla Cina.
4 febbraio 2025
Pochi giorni dopo l’ingresso (il 20 gennaio) di Trump nella Casa bianca per il suo secondo mandato, entrano in vigore nuove tariffe del 10 per cento su tutte le importazioni cinesi negli Stati Uniti. La Cina reagisce lo stesso giorno annunciando una raffica di contromisure, tra cui dazi sul carbone americano, sul gas naturale liquefatto e sui macchinari agricoli.
4 marzo 2025
Entreranno in vigore ulteriori dazi del 10 per cento su tutti i prodotti cinesi. La Cina risponde con dazi aggiuntivi fino al 15 per cento sulle importazioni di importanti prodotti agricoli statunitensi, tra cui pollo, maiale, soia e manzo, e controlli estesi sulle attività commerciali con le principali aziende statunitensi. I dazi sono entrati in vigore il 10 marzo scorso.
3 aprile 2025
Nel cosiddetto "Liberation Day" Trump, annuncia dazi aggiuntivi del 34 per cento su tutte le importazioni cinesi, insieme a dazi su prodotti provenienti da paesi di tutto il mondo. I nuovi super dazi entreranno in vigore il 9 aprile 2025.
4 aprile 2025
La Cina annuncia altre misure di ritorsione, tra cui maggiori controlli sulle esportazioni di terre rare, e presenta una causa presso l’Organizzazione mondiale del commercio.
La Cina sospende inoltre le importazioni di sorgo, pollame e farina di ossa da diverse aziende statunitensi, aggiunge 27 aziende alle liste delle aziende soggette a restrizioni commerciali e avvia un’indagine antimonopolio su DuPont China Group Co.
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Trump’s “Liberation” Hastens China’s Domination Jonathan E. Hillman
The US spins out of control, into an economic world of its own EAF editors