I limiti della partnership "senza limiti": Xi costretto a inventarsi una exit strategy per Putin, e l'economia russa diventa sempre più dipendente dalla Cina
Non solo gas negli accordi siglati al Cremlino: alla ricerca di una tregua in Ucraina, mentre la retorica del "mondo multipolare" deve fare i conti con la "rinnovata competizione tra grandi potenze"
La visita di stato di Xi Jinping a Mosca (20-22 marzo) è servita al presidente cinese e al suo omologo russo, Vladimir Putin, per proiettare, in patria e all’estero, l’immagine di una relazione granitica tra Pechino e Mosca. La pompa dei ricevimenti ufficiali, gli scambi di sorrisi e battute dei due leader a favore di telecamere, il risalto mediatico per le intese siglate: tutto è stato messo in scena in maniera tale che sembrasse che la partnership “senza limiti” sottoscritta a Pechino il 4 febbraio 2022, non è stata intaccata dall’invasione dell’Ucraina, scattata venti giorni dopo.
Putin - raggiunto il 17 marzo scorso da un mandato di cattura della Corte penale internazionale per “deportazione illegale” di bambini ucraini - ha insistito sulle «illimitate possibilità e prospettive» di una cooperazione bilaterale che però vede la Russia, indebolita dal conflitto, sempre più subordinata alla Cina. Xi invece ha sottolineato la necessità del dialogo per fermare la guerra, e - secondo fonti cinesi - vuole parlare con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (per la prima volta dall’inizio del conflitto).
Al termine del quarantesimo faccia a faccia Xi-Putin in dieci anni, e di una serie di incontri tra delegazioni di alto profilo, i due presidenti hanno firmato due dichiarazioni congiunte: il Joint Statement of the People’s Republic of China and the Russian Federation on Deepening the Comprehensive Strategic Partnership of Coordination for the New Era e il Joint Statement of the President of the People’s Republic of China and the President of the Russian Federation on Pre-2030 Development Plan on Priorities in China-Russia Economic Cooperation.
Il primo documento riafferma l’aspirazione a quel “mondo multipolare” con cui la Cina di Xi e la Russia di Putin vorrebbero soppiantare l’ordine liberale internazionale costruito sui princìpi del liberalismo e sull’egemonia statunitense. Con il secondo i due leader hanno tracciato la strada per «aumentare significativamente il volume degli scambi tra i due paesi entro il 2030».
Quella tra Pechino e Mosca è una “quasi-alleanza” (che non prevede obblighi di mutuo sostegno in caso di attacco militare contro una delle due parti) sulla quale Xi ha investito dall’inizio del suo mandato di segretario generale del partito comunista (15 novembre 2012). L’invasione dell’Ucraina da parte dell’armata russa ha messo la Cina in una posizione scomoda, perché ha reso più teso il suo rapporto con gli Stati Uniti (e con l’Unione Europea) e più instabile il quadro globale, esponendo i commerci cinesi a nuove turbolenze.
In Cina quella dell’evoluzione delle relazioni con la Russia di Putin è diventata una delle questioni più “sensibili”, rispetto alla quale il partito comunista stenta a imporre la propria narrazione in settori importanti della società, perplessi per la vicinanza a Putin, che in Ucraina ha fatto strame dei princìpi di “sovranità” e “integrità territoriale”, tanto cari alla leadership cinese.
Pechino però non ha mai messo in conto di allontanarsi da Mosca. Nella “Nuova era” - che, nell’attesa dell’avvento del “mondo multipolare”, è scandita da quella che a Washington definiscono “ rinnovata competizione tra grandi potenze” -, la minaccia principale per la Cina (e per la Russia) sono gli Stati Uniti e il loro containment tecnologico e militare. Attribuita a Sun Zi, la massima «Il nemico del mio nemico è mio amico» ben si attaglia alla scelta di campo di Pechino.
Dunque la leadership cinese si è “adattata” alla guerra in Ucraina cercando di coglierne le opportunità: prima ottenendo dalla Russia forniture energetiche di lungo termine a prezzi scontati; e, dopo un anno di “neutralità filo-russa”, proponendosi - con il suo position paper e grazie all’attivismo della sua diplomazia - come “pacificatrice”, per non essere accomunata all’invasore e mantenere aperto il dialogo con l’Unione Europea, il suo secondo partner commerciale dietro all’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean).
A tal riguardo, sono significative le differenze emerse su una possibile tregua in Ucraina tra il comunicato pubblicato dall’agenzia Xinhua e le dichiarazioni di Putin durante la conferenza stampa congiunta del 21 marzo. Divergenze dalle quali traspare la tensione tra chi (la Cina) prova a favorire un cessate il fuoco e l’avvio di colloqui di pace, e chi (la Russia) ha il problema di dover fronteggiare la resistenza ucraina, sostenuta con armamenti più letali dai paesi dell’Alleanza Atlantica.
Cina e Russia hanno anche espresso “seria preoccupazione” per gli sforzi della stessa Nato per rafforzare i legami militari con i paesi della regione Asia-Pacifico e criticato gli Stati Uniti per la loro “mentalità da guerra fredda” e la loro strategia indo-pacifica, accusata di mettere a repentaglio la pace e la stabilità nella regione.
Il commercio bilaterale con la Russia (decimo partner di Pechino in valore assoluto) rappresenta il 3% degli scambi globali della Cina. Nel 2022 ha raggiunto i 1.280 miliardi di yuan (189 miliardi di dollari), con un incremento del 29,3% rispetto all’anno precedente, e del 116% rispetto a dieci anni fa. L’anno scorso la Cina ha registrato con la Russia un deficit commerciale pari a 38 miliardi di dollari, determinato dall’impennata di importazioni di energia.
Questo disavanzo evidenzia in realtà che l’economia russa sta diventando sempre più dipendente dalla Cina.
Infatti, le importazioni della Cina dalla Russia (+43,5% nel 2022) sono soprattutto materie prime energetiche, a prezzi ribassati, dopo che - in conseguenza delle sanzioni dell’UE - la Russia è stata costretta a sostituire l’Europa con la Cina come principale acquirente dei suoi idrocarburi: secondo Gazprom, l’export di Gnl verso la Cina attraverso il gasdotto “Power of Siberia” nel 2022 è aumentato di almeno il 50%. Avendo scavalcato l’Arabia Saudita, nel bimestre gennaio-febbraio 2023 la Russia è diventata il primo fornitore di greggio della Cina (15,58 milioni di tonnellate).
Nella conferenza stampa congiunta di martedì 21 marzo Putin ha annunciato che:
Le esportazioni di gas russo verso la Cina riceveranno una spinta dall’attuazione dell'accordo intergovernativo concluso a gennaio sulla posa della rotta del gas dell’Estremo Oriente e dall’attuazione di un’iniziativa per costruire il gasdotto Power of Siberia-2 attraverso la Mongolia. Ne abbiamo discusso in dettaglio e abbiamo raggiunto accordi corrispondenti con la Mongolia. Ciò rappresenta circa 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno. La Russia è anche il quarto fornitore di Gnl per la Cina e le forniture di Gnl aumenteranno nel prossimo futuro. L’interazione sull’energia nucleare pacifica sta procedendo con successo. La Russia sta contribuendo alla costruzione di centrali nucleari in Cina: è in corso la costruzione delle unità 7 e 8 della centrale nucleare di Tianwan e delle unità 3 e 4 della centrale nucleare di Xudabao, da completare come da programma. L’attuazione del programma di cooperazione a lungo termine firmato durante la visita da Rosatom e dall’Autorità cinese per l’energia atomica contribuirà a rafforzare i partenariati in questo settore.
Questa esportazione sempre più massiccia della sua principale ricchezza (le materie prime) verso la Cina rende l’economia russa, soggetta a sanzioni internazionali, sempre più dipendente dal principale importatore globale di energia. L’import della Russia dalla Cina (+12,8% nel 2022) invece include una grande varietà di manufatti, tra cui automobili, computer, macchinari e prodotti elettronici. Secondo i dati dell’Accademia cinese di scienze sociali, negli ultimi tempi un migliaio di imprese cinesi hanno investito oltre frontiera. Alla fine del 2022, il numero di concessionari di automobili di marchi cinesi in Russia era salito a 1.041. La Cina è inoltre un investitore sempre più attivo in Russia: nella prima metà del 2022, gli investimenti esteri diretti cumulativi della Cina in Russia sono aumentati del 75%.
Putin è stato invitato da Xi a ricambiare la visita quest’anno, in occasione del terzo Forum sulla nuova via della Seta che si svolgerà in Cina, nel decennale del lancio della strategia di politica estera voluta dal presidente cinese.
Un altro fattore di progresso della partnership bilaterale esaltato dai due leader è quello relativo all’espansione degli accordi sull’impiego delle rispettive valute nazionali, giudicato un forte incentivo per promuovere la cooperazione commerciale e gli investimenti reciproci. Secondo i dati sciorinati da Putin, alla fine dei primi tre trimestri del 2022, la quota del rublo e dello yuan nelle transazioni commerciali reciproche ha raggiunto il 65% e continua a crescere, «il che ci consente di proteggere il commercio bilaterale dall’influenza di paesi terzi e tendenze negative sui mercati valutari globali».
In definitiva, alla relazione bilaterale tutta rose e fiori descritta da Xi e Putin non mancano le spine. Con la Russia indebolita e impantanata in Ucraina, Pechino dovrà perseverare con il suo complicato equilibrismo politico, soprattutto al fine di non inimicarsi l’Unione Europea. Se la guerra in Ucraina continuerà a lungo, l’apparato statale ed economico russo rischierebbe di indebolirsi pericolosamente, mentre il danno “reputazionale” derivante dalla sua quasi-alleanza con Mosca minaccerebbe i commerci cinesi. Gli Stati Uniti denunciano che la Cina non sarebbe credibile come mediatrice, in quanto quasi-alleata della Russia. Ma non avanzano alcuna proposta alternativa. Tutti motivi più che validi per Pechino per aumentare gli sforzi per una soluzione politica in Ucraina.
Luci e ombre della ripresa cinese nei dati del primo bimestre. La Banca centrale vara un altro taglio del coefficiente di riserva obbligatoria ed Evergrande presenta il piano di ristrutturazione del debito offshore.
Gli ultimi dati ufficiali sul commercio hanno rivelato segnali incoraggianti per l’economia cinese. Nel mese di febbraio 2023, le importazioni sono cresciute del 4,2% (197 miliardi di dollari) rispetto allo stesso periodo del 2022, dopo che a gennaio erano crollate (-21,4%), e hanno così interrotto quattro mesi consecutivi col segno meno. Le statistiche dell’amministrazione generale delle dogane pubblicate sabato 18 marzo rilevano altresì che il mese scorso le esportazioni (che a gennaio erano diminuite del 10,5%) sono calate dell’1,3% su base annua (214 miliardi di dollari), trainate dal boom delle spedizioni di automobili (+68,7%). L’incremento dell’import ha fatto diminuire il surplus commerciale della Cina, che nel secondo mese dell’anno è stato di 16,8 miliardi di dollari, il più basso dal marzo 2021.
Di particolare rilievo l’impannata di acquisti di macchinari per la fabbricazione di microchip (+22,5%) e di unità di elaborazioni dati automatiche (+42,7%) dei quali la Cina sta facendo incetta prima dell’entrata in vigore delle restrizioni alla vendita di questi strumenti varate dagli Stati Uniti e paesi alleati.
A contribuire al rialzo degli scambi sono stati in particolare l’aumento delle importazioni di materie prime (carbone +160%, greggio +12%, ferro +11,5%, soia +27,3%) e dei consumi interni a seguito dell’abbandono, a fine anno, della politica “Covid-zero”, e dopo il Capodanno cinese. Le vendite al dettaglio sono aumentate del 3,5% su base annua a gennaio-febbraio, dopo che nel dicembre scorso erano diminuite dell’1,8%. Bene anche la produzione industriale (+2,4), che nell’ultimo mese del 2022 aveva fatto registrare un +1,3%.
In questo 2023 per il quale il premier, Li Qiang, ha previsto un obiettivo di crescita di “circa il 5%”, proprio i consumi interni dovrebbero compensare l’impatto negativo del calo delle esportazioni e di un mercato immobiliare ancora debole, rendendo non necessario un massiccio stimolo fiscale.
L’elevata inflazione e il rialzo dei tassi d’interesse nel resto del mondo hanno creato una situazione molto diversa dagli ultimi due anni, quando il motore della crescita cinese erano state le esportazioni.
La ripresa cinese resta tuttavia incerta. Mentre la spesa dei consumatori e gli investimenti in Cina sono rimbalzati nei primi due mesi dell’anno dopo l’abolizione delle restrizioni per contrastare la pandemia, altri indicatori sono meno confortanti.
La disoccupazione giovanile (16-24 anni) è salita dal 16,7% a dicembre al 18,1% nel bimestre gennaio-febbraio 2023. Nello stesso periodo è aumentata anche quella complessiva, al 5,6%. Quest’anno i neolaureati saranno 11,58 milioni (un nuovo record) e il governo prevede di creare 12 milioni di posti di lavoro.
Anche gli investimenti immobiliari hanno continuato a contrarsi, del 5,7% nei primi due mesi del 2023, dopo il -12,2% registrato a dicembre.
Secondo l’Ufficio nazionale di statistica, nei primi due mesi del 2023, gli investimenti privati sono cresciuti solo dello 0,8% rispetto all’anno precedente. Nello stesso periodo le entrate fiscali nazionali sono diminuite dell’1,2%, mentre quelle derivanti dalla vendita di terreni (tra le principali fonti di reddito per i governi locali), sono crollate del 29%.
Per assicurare la liquidità necessaria per sostenere la ripresa, la Banca centrale (Pboc) ha varato una riduzione dello 0,25% del coefficiente di riserva obbligatoria (Rrr) delle banche presso la stessa Pboc, che entrerà in vigore il prossimo 27 marzo, e che si tradurrà nell’iniezione nel sistema economico di 500 miliardi di yuan (72,6 miliardi di dollari). Un taglio analogo del Rrr era entrato a vigore nel dicembre scorso.
Più che per limitare un potenziale impatto in Cina delle turbolenze nei mercati globali, queste misure serviranno a ridurre il tasso d’interesse su prestiti e mutui, per favorire l’accesso al credito dei governi locali e dei costruttori rispettivamente. E, più in generale, per restituire fiducia al settore privato che - dopo le strette regolatorie per contrastare la “espansione disordinata di capitale” e i provvedimenti anti-monopolio degli ultimi due anni - è tornato nelle grazie di una nuova leadership più pragmatica, competente e business friendly.
Secondo la stessa Pboc presieduta dal nuovo governatore, Yi Gang, il taglio del Rrr punta a mantenere «una liquidità ragionevole e sufficiente» e a garantire che l’offerta di credito e moneta aumenti in linea con la crescita economica nominale. La banca centrale ha aggiunto che non è prevista alcuna “inondazione”, ovvero massiccio stimolo monetario.
Nel corso della prima riunione del nuovo governo cinese, venerdì scorso (17 marzo), il premier, Li Qiang, ha promesso che «approfondiremo la riforma e l'apertura economica, pianificheremo un nuovo ciclo di riforma delle imprese statali, daremo impulso allo sviluppo e all'economia privata e stabilizzeremo gli investimenti diretti esteri e il commercio estero".
Pechino ha aumentato il rapporto deficit/prodotto interno lordo al 3% (dal 2,8% dello scorso anno), e l’esecutivo ha anche aumentato le quote di obbligazioni speciali locali di 150 miliardi di yuan. Il vice ministro delle finanze, Xia Xiande, ha annunciato che la spesa sarà concentrata su quattro aree: aumento della domanda interna; autosufficienza tecnologica; sviluppo coordinato urbano-rurale; sostegno alle compagnie private.
Oltre alle conseguenze sulla domanda interna delle lunghe restrizioni anti-Covid, e al rallentamento delle esportazioni, un altro freno importante all’economia cinese è rappresentato dalla difficile situazione del mercato immobiliare.
Su questo fronte, il 22 marzo Evergrande, la società immobiliare più indebitata del mondo, con passività per 2.000 miliardi di yuan (290 miliardi di dollari) ha presentato il suo piano di ristrutturazione del suo debito offshore (22,7 miliardi di dollari).
Nel 2021, il default del gruppo con quartier generale a Shenzhen (nella provincia meridionale del Guangdong) ha scatenato una crisi nel settore immobiliare che ha contribuito al rallentamento dell’economia cinese.
La capacità di Evergrande di sopravvivere alla crisi del debito sarà un barometro per l’intero settore immobiliare cinese: se avrà successo, il sua piano di ristrutturazione potrebbe essere utilizzato come “modello” per altri costruttori falliti.
Evergrande ha offerto ai creditori una serie di opzioni per scambiare il proprio debito con nuove obbligazioni e strumenti legati ad azioni garantiti dal gruppo e dalle sue due società quotate a Hong Kong (Evergrande Property Services Group ed Evergrande New Energy Veichle Group). Tuttavia proprio quest’ultima compagnia, a secco di finanziamenti, potrebbe essere costretta a chiudere, dopo aver consegnato soltanto 900 auto elettriche.
I creditori hanno tempo fino al 31 marzo prossimo per dare l’ok o rifiutare il piano di Evergrande.