La macchina da guerra Usa in mano alla Cina
Senza precedenti la dipendenza dei sistemi di difesa statunitensi da componenti e minerali made in China
Benvenut* in Rassegna Cina.
Buongiorno da Michelangelo Cocco
Ipotizziamo che la Cina vada in guerra con il paese contro il quale mai vorrebbe combattere, gli Stati Uniti d’America. Ebbene in un simile conflitto partirebbe con un vantaggio non da poco: la dipendenza dell’apparato di difesa Usa dall’industria cinese.
Il 2025 National Security Scorecard appena pubblicato da govini, l’ha messa così: questa dipendenza che fa sì che gli Stati Uniti siano «impreparati per la guerra in cui potrebbero dover entrare se la Cina dicesse “oggi è il giorno”.»
Sì perché, secondo il report annuale della compagnia Usa, dall’analisi della spesa del ministero della difesa, le aziende cinesi rappresentano il 9,3 per cento dei principali fornitori (Tier 1) coinvolti nei programmi di difesa statunitensi in nove settori critici: aviazione, marittimo, C4I, supporto missione, nucleare, missili e munizioni, terrestre, difesa missilistica, e spazio.
I ricercatori di govini hanno concluso che le catene di approvvigionamento statunitensi sono “incredibilmente fragili”, perché la Cina, che dagli Usa è considerata un “avversario”, ospita il maggior numero di fornitori di primo livello degli States.
In particolare, la difesa missilistica è il settore con la maggiore dipendenza, con l’11,1 per cento dei fornitori cinesi. Quello nucleare invece ha la dipendenza più bassa (7,8 per cento), ma anche qui, tra i fornitori esteri, la Cina è al primo posto con 534 aziende, superando alleati come Canada (405) e Regno Unito (366). Inoltre, il numero di fornitori cinesi per il settore nucleare nel 2024 è aumentato del 45,5 per cento rispetto all’anno precedente.
C’è poi il capitolo specifico dei minerali critici (la cui produzione è dominata dalla Cina) da cui dipendono centinaia di sistemi di armamento Usa nell’aviazione, nella marina e una manciata nel nucleare.
Per avere un’idea di quanto la macchina bellica Usa dipenda dalla Cina, basta guardare ad alcuni dei suoi fiori all’occhiello:
i caccia F-35 contengono oltre 400 kg di terre rare per unità, per i motori a reazione, l'avionica, le munizioni e il radar;
l’ultimo jet Usa di nuova generazione, l’F-47, con il suo sistema NGAD (Next-Generation Air Dominance), probabilmente conterrà una quantità sostanziale di minerali critici, considerando l’integrazione di tecnologie all’avanguardia, come i velivoli senza pilota e l’intelligenza artificiale;
i sottomarini di classe Virginia utilizzano 4.200 kg di terre rare e i cacciatorpediniere di classe Arleigh Burke ne richiedono 2.360 kg per i loro radar, le munizioni e altre tecnologie;
i droni Predator, i missili Tomahawk, le bombe intelligenti Joint Direct Attack Munition (JDAM) e i sistemi radar avanzati si basano tutti su magneti in terre rare per la propulsione, il puntamento e la guida.
Pechino ha utilizzato le recenti restrizioni all’export verso gli Usa di alcuni di questi minerali ed elementi chiave per ottenere concessioni nella trattativa commerciale con l’amministrazione Trump.
Secondo il report di govini, attualmente la Cina è in grado di paralizzare la produzione dei sistemi di armamento Usa più avanzati. Infatti - secondo quanto rivelato ad aprile dalla stessa compagnia - 80.000 componenti di armi negli Stati Uniti vengono realizzati utilizzando antimonio, gallio, germanio, tungsteno o tellurio. Con l’approvvigionamento globale di questi cinque minerali controllato dalla Cina, quasi il 78 per cento di tutti i sistemi d’arma statunitensi potrebbe essere colpito dalle restrizioni alle esportazioni.
La Cina controlla inoltre circa il 70 per cento della produzione globale delle 17 terre rare anch’esse impiegate anche nell’industria della difesa. In base alle stime disponibili, oltre l’80 percento delle catene di fornitura dei sistemi d’arma del Pentagono incorpora antimonio, gallio o germanio.
Ovviamente, un affrancamento nel breve termine da questa dipendenza da parte degli Stati Uniti non è possibile, perché avviare nuove miniere e costruire nuove catene di approvvigionamento richiede tempo.
Se il brand occidentale si squaglia: la crisi di
Häagen-Dazs e la rivoluzione dei consumatori cinesi
Se pensate che in Cina il food & beverage occidentale sia destinato a continuare a primeggiare in virtù della sua qualità, vi sbagliate di grosso. L’ultimo assalto dei brand cinesi è infatti nientepopodimeno che ad Häagen-Dazs, fino a poco fa indiscusso re dei gelati, che ora deve difendersi dalla concorrenza dei marchi locali.
Negli ultimi anni, brand globali come Haagen-Dazs sono riusciti a mantenere prezzi elevati in Cina perché i loro prodotti venivano considerati "premium", "esotici", "importati" e, in alcuni casi, più salutari rispetto alle alternative locali. Ma, con la classe media cinese che negli ultimi anni ha visto il suo reddito disponibile eroso dal rallentamento economico, un gelato di Häagen-Dazs a 40 yuan (quasi 5 euro), così come un caffè di Starbucks a 30 yuan stanno rapidamente perdendo attrattiva.
Secondo un’indagine pubblicata il mese scorso dalla compagnia Qichacha, nella prima metà del 2025 in Cina nate oltre 2.200 startup che producono gelati. E le vecchie Häagen-Dazs e Starbucks sono destinate a soccombere sotto la pressione di catene cinesi come Mixue Ice Cream & Tea, Heytea e Nayuki, che si stanno facendo strada con la più classica delle strategie, ovvero quella di conquistare fette di mercato entrandovi con prezzi stracciati: offerte a meno di 10 yuan e creative combinazioni di tè e dessert.
Mutatis mutandis, le aziende cinesi di food & beverage si muovono come quelle di auto elettriche e di altri settori: partecipando a una competizione feroce a colpi di sconti che spazza via i brand stranieri e, alla fine, lascia sul mercato un numero limitato di grandi player usciti vittoriosi dalla lotta per la sopravvivenza.
Ma sarebbe un errore credere che la loro competitività si misura unicamente sul prezzo. L’altro elemento fondamentale per l’affermazione di nuovi prodotti in Cina è l’innovazione, ovvero la capacità di adattarsi alle esigenze e ai gusti in costante evoluzione dei consumatori locali. E su questo aspetto, forse ancora più che sul prezzo, in Cina i marchi stranieri non riescono a stare dietro a quelli locali.
«Lanciamo almeno due nuove bevande aromatizzate ogni mese. Offriamo anche diverse bevande creative, come quelle che aiutano a dormire, energizzano e schiariscono la pelle. I prodotti realizzati con frutta locale di stagione sono più popolari. Etichette come “ingredienti importati” non hanno molto significato per i giovani», ha spiegato a South China Morning Post il responsabile di un negozio di tè e gelati a Guangzhou.
Nel 2025 in Cina Häagen-Dazs ha chiuso 78 negozi (il 20 per cento del totale) e ne ha aperti otto. Il mese scorso, Bloomberg ha riferito che General Mills (la multinazionale Usa proprietaria di Häagen-Dazs) stava valutando la possibilità di vendere i suoi punti vendita di gelati Haagen-Dazs in Cina.
Secondo il giornale economico Caixin, anche Starbucks è in trattativa con una dozzina di potenziali acquirenti per la vendita di tutte le sue attività in Cina. Dopo quello statunitense, la Cina è per Starbucks il secondo mercato. Ma, negli ultimi anni, le alternative cinesi come Luckin Coffee e Manner Coffee hanno guadagnato spazio, riducendo la fetta di mercato di Starbucks dal 34 per cento del 2019 al 14 per cento del 2024.
La Cina si lancia nel mercato dell’oro
Zijin Mining Group Co. Ltd., il più grande produttore d'oro cinese, sta per compiere un passo strategico: scorporare le sue crescenti operazioni internazionali per un'offerta pubblica iniziale (IPO) a Hong Kong. L'obiettivo è quello di trasformarsi in una potenza globale del settore, ben finanziata, proprio mentre i prezzi dell’oro fanno registrare nuovi record.
Già quotata a Hong Kong e Shanghai, Zijin ha annunciato lunedì che la sua controllata Zijin Gold International Co. Ltd. ha presentato la domanda di offerta pubblica iniziale (Ipo) alla Borsa di Hong Kong, gestita congiuntamente da Morgan Stanley e Citic Securities, di una quota pari al 15 per cento delle azioni dell’unità, con un’opzione di over-allotment per un ulteriore 15 per cento di tale tranche.
Questa mossa si inserisce in un contesto di rapida espansione all’estero per Zijin, che sta acquisendo miniere in ogni angolo del mondo, dal Sud America all'Asia Centrale. Proprio lunedì, Zijin ha rivelato un accordo da 1,2 miliardi di dollari per l’acquisto della miniera d’oro di Raygorodok in Kazakistan. Questa operazione segna il suo primo ingresso nel paese centro-asiatico e l'ottava acquisizione importante di oro all'estero.
Come sottolineato dal presidente Chen Jinghe in un recente articolo su China Gold News, il momento attuale rappresenta una “grande opportunità strategica” per l'industria globale dell’oro.
Il prezzo dell’oro ha registrato un’impennata alimentata da un’inflazione globale persistente e dalle crescenti tensioni geopolitiche. Gli investitori cercano beni rifugio per proteggersi dall'instabilità economica e dai rischi geopolitici. Il prezzo medio dell’oro è passato da 1,801 dollari l’oncia nel 2022 a un record di 3,340 dollari il 26 giugno.
Zijin Gold International raggruppa tutte le operazioni aurifere estere della società madre. Nel 2024, le sue miniere hanno prodotto 46,7 tonnellate di oro, posizionandosi all’undicesimo posto nel mondo per produzione. Alla fine del 2023, deteneva riserve per 856 tonnellate, piazzandosi al nono posto a livello globale. Tra i suoi asset chiave figurano la miniera di Buriticá in Colombia, quella di Rosebel in Suriname e di Porgera in Papua Nuova Guinea.
Tra il 2022 e il 2024, i ricavi dell’unità sono cresciuti a un tasso annuo composto del 28,2 per cento, raggiungendo i 2,99 miliardi di dollari. L’utile netto è aumentato ancora più rapidamente, con un tasso annuo composto del 61,9 per cento, arrivando a 481 milioni di dollari nel 2024.
La crescita dell’azienda è stata alimentata da una serie di acquisizioni, con quattro delle sue otto miniere estere acquistate dal 2020. Questa frenesia di acquisti l’ha resa il produttore in più rapida crescita tra i maggiori minatori d’oro del mondo. Zijin si è inoltre guadagnata la reputazione di saper rilanciare asset in difficoltà: secondo il suo dossier presentato per l’Ipo, quattro delle miniere acquisite operavano in perdita ma sono diventate redditizie entro uno o due anni sotto la gestione di Zijin.
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