L'economia cinese riparte: Pil "intorno al 5%" nel 2023. L'innovazione tecnologica sarà sempre più il nuovo motore della crescita.
Le politiche di sviluppo nel "rapporto sul lavoro del governo". La leadership di Pechino cerca soluzioni per salvaguardare la stabilità sociale mentre si inasprisce la competizione internazionale.
L’Assemblea nazionale del popolo (Anp) che si è aperta il 5 marzo a Pechino completerà il ricambio della leadership cinese avviato dal XX congresso del partito comunista (Pcc). Nell’ottobre scorso sono stati selezionati i membri degli organismi apicali del Pcc, mentre domenica prossima, al termine della prima sessione della XIV Anp, saranno ufficializzati i nomi dei nuovi componenti dell’esecutivo (il Consiglio di stato) che rappresenteranno il paese per i prossimi cinque anni.
Come da tradizione, la riunione del parlamento di Pechino è iniziata con la lettura - da parte del premier uscente, Li Keqiang - del “rapporto sul lavoro del governo”, che enuncia gli obiettivi di sviluppo socioeconomico per l’anno in corso. Un documento particolarmente atteso, dopo che nel 2022 l’aumento del Pil si è fermato al 3% (mancando l’obiettivo di “circa il 5,5%” dichiarato da Li un anno fa), e dopo il repentino abbandono a fine anno della politica “contagi zero”.
Li ha annunciato che nel 2023 la Cina punta a raggiungere una crescita «intorno al 5%» (secondo le ultime previsioni del Fondo monetario internazionale, +5,2%, ovvero 1/3 della crescita globale), che le permetterà di continuare ad avvicinarsi agli Stati Uniti, il cui prodotto interno lordo, secondo lo stesso Fmi, quest’anno dovrebbe far registrare un +1,4%.
Il governo deve far dimenticare in fretta gli ultimi due anni, segnati dalle limitazioni alla mobilità imposte dalla politica “contagi zero”, e dalla stretta regolatoria nei confronti delle grandi compagnie nazionali di internet.
Per riprendere una crescita sostenuta e costante, la leadership cinese dovrà riguadagnare la fiducia dell’imprenditoria privata, che genera circa il 60% del Pil, degli investimenti in capitale fisso e degli investimenti esteri diretti, oltre la metà delle entrate fiscali, e più dell’80% dei posti di lavoro urbani. Il settore privato è stato pesantemente danneggiato dalla pandemia, e dalle ripercussioni di alcune campagne lanciate dal presidente Xi Jinping, ma continuerà a svolgere un ruolo fondamentale nell’economia cinese. La Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma (Ndrc) ha assicurato che «sarà incoraggiato e sostenuto lo sviluppo e la crescita dell’economia privata e delle imprese private e la loro integrazione nelle principali strategie nazionali e al servizio di tali strategie», come i grandi progetti infrastrutturali, i programmi di sviluppo delle aree rurali, l’urbanizzazione e l’economia verde.
La priorità assoluta per il partito comunista è la stabilità, da perseguire attraverso una politica fiscale “proattiva” e monetaria “prudente”. Li ha sottolineato che nel 2023 la disoccupazione urbana non supererà il 5,5 per cento, saranno creati 12 milioni di nuovi posti di lavoro, l’inflazione si manterrà intorno al 3 per cento. Il deficit fiscale aumenterà dal 2,8 al 3 per cento del Pil e la quota stanziata per i bond speciali dei governi locali salirà a 3.800 miliardi di yuan (550 miliardi di dollari). Per sostenere le aziende saranno «migliorate le politiche fiscali e tariffarie preferenziali, ed estese e perfezionate ulteriormente le politiche in materia di tagli fiscali e tariffari, sgravi fiscali e rinvii fiscali».
Con il nuovo anno, spinta dalle riaperture post-Covid, l’attività economica è tornata in territorio positivo. Trainato dai settori delle costruzioni e dei servizi, il mese scorso l’indice PMI non manifatturiero ha registrato un lusinghiero 56,3 (54,4 a gennaio). Quello manifatturiero 52,6 (il livello più elevato da aprile 2012), dopo che a gennaio si era attestato a 50,1. Si punta a rimettere in moto il mercato immobiliare (che, compreso l’indotto, è arrivato a rappresentare 1/3 del Pil). Dopo le misure a sostegno dei costruttori varate nei mesi scorsi, ora le autorità locali stanno rimuovendo importanti restrizioni alla vendita degli appartamenti entrate in vigore negli ultimi anni per frenare le speculazioni.
Tra le preoccupazioni citate da Li: l’inflazione globale troppo elevata, un’economia mondiale più debole e l’intensificarsi del «contenimento esterno», ovvero delle misure protezionistiche e dell’embargo hi-tech decretato dagli Stati Uniti nei confronti del paese che la strategia di sicurezza nazionale dell’amministrazione Biden ha definito la «principale sfida geopolitica dell’America». Inoltre - ha aggiunto il premier cinese - «la ripresa economica interna non è solida, gli investimenti privati sono ancora deboli e permangono rischi nel mercato immobiliare e nelle piccole istituzioni finanziarie». Un’incertezza che frena i consumi interni, inducendo le famiglie a risparmiare più del solito.
In un recente rapporto, gli analisti di UBS Investment Bank hanno previsto che quest’anno il governo lancerà ulteriori misure per aumentare i consumi, ma nessun grosso stimolo al consumo a livello nazionale, né sussidi al reddito. È atteso un rimbalzo “ciclico” (post-pandemico) dei consumi, che da vent’anni rappresentano mediamente meno del 40% del Pil. I consumi interni potranno diventare un più rilevante motore di crescita soltanto se/quando lo stato sarà in grado di istituire un sistema sanitario nazionale e pensioni al passo con le crescenti necessità della popolazione.
Per quanto riguarda l’accelerazione della modernizzazione del sistema industriale, Li ha affermato che:
Dovremmo, con particolare attenzione alle principali catene industriali nel settore manifatturiero, mettere in comune risorse di qualità e compiere sforzi concertati per ottenere progressi nelle tecnologie di base in settori chiave. Dovremmo raddoppiare gli sforzi per esplorare e sviluppare importanti risorse energetiche e minerarie, scoprire più riserve e aumentare la produzione. Dovremmo accelerare la digitalizzazione delle industrie tradizionali e delle PMI per renderle di fascia alta, più forti e più rispettose dell'ambiente. Occorre accelerare la ricerca e sviluppo e l'applicazione di tecnologie all'avanguardia. Dovremmo migliorare il moderno sistema logistico. Dovremmo sforzarci di sviluppare l'economia digitale, intensificare il controllo costante e sostenere lo sviluppo dell'economia di internet.
Lo sviluppo dell’economia cinese - anche a causa delle sanzioni Usa - dovrà essere trainato sempre più dall’innovazione, e punterà all’autosufficienza tecnologica. Li ha annunciato che i finanziamenti ad hoc per sostenere lo sviluppo dei chip e altri settori industriali chiave aumenteranno quest’anno di quasi il 50 per cento rispetto al 2022: a 13,3 miliardi di yuan (1,9 miliardi di dollari). Il ministero delle finanze rafforzerà i fondi speciali per lo sviluppo industriale e manifatturiero (in particolare quello dei circuiti integrati) iniettandovi nel 2023 4,4 miliardi di yuan e portandoli a 13,3 miliardi di yuan (1,93 miliardi di dollari); altri 6,5 miliardi di yuan per lo sviluppo scientifico e tecnologico verranno distribuiti alle istituzioni locali, 2 miliardi di yuan in più rispetto all’anno scorso.
La Ndrc accelererà la costruzione di infrastrutture di intelligenza artificiale, 5G e big data, e promuoverà lo sviluppo della vendita al dettaglio online e del commercio elettronico attraverso il live streaming, che rappresentano sempre più strumenti di marketing chiave per stimolare i consumatori cinesi. Inoltre la Ndrc punterà a consolidare la “posizione di leader” per quanto riguarda i veicoli elettrici e i pannelli solari, settori nei quali la Cina occupa posti chiave nelle catene di approvvigionamento globale.
L’Europa al centro dell’offensiva diplomatica di Pechino, che punta a depotenziare le spinte al de-coupling che arrivano dagli Stati Uniti. Nel mercato cinese ci sarà più spazio per le compagnie dell’Ue?
Così come quello del 2022, anche il “rapporto sul lavoro del governo” letto domenica scorsa da Li Keqiang, per il secondo anno consecutivo, non contiene alcun riferimento diretto agli Stati Uniti, mai citati nel testo del documento. Nel 2021 invece vi si auspicavano «relazioni commerciali Cina-Stati Uniti giuste e reciprocamente vantaggiose». Joe Biden si era insediato alla Casa bianca da due mesi e la leadership cinese sperava che il 46esimo presidente Usa potesse rivelarsi meno antagonista di Donald Trump, che nel 2018 aveva dichiarato “guerra commerciale” alla Cina.
Le cose sono andate diversamente da quanto auspicato a Pechino, con il “CHIPS and Science Act” varato l’estate scorsa dagli Usa per contenere le ambizioni tecnologiche cinesi, lo scontro sul “pallone spia” cinese, e la tensione crescente sulla guerra in Ucraina e su Taiwan. Affinché Pechino e Washington tornino a dialogare c’è, in teoria, ancora una piccola finestra di opportunità. Poi, tra qualche mese, Biden entrerà in campagna elettorale per le presidenziali del 5 novembre 2024, e la competizione con i repubblicani potrebbe portarlo ad assumere posizioni più intransigenti nei confronti di Pechino.
Con la Cina e gli Stati Uniti prigionieri della loro rivalità strategica, Pechino negli ultimi tempi si è mostrata iperattiva su altri fronti, dall’Unione europea, al Medio Oriente, all’Africa, passando per i paesi del Sud-est asiatico. I protagonisti di questa offensiva diplomatica sono il sessantanovenne Wang Yi e il cinquantaseienne neo-ministro degli esteri Qin Gang. Dei rapporti con i paesi europei si è occupato finora Wang, diplomatico esperto, promosso recentemente - dopo dieci anni alla guida del ministero degli esteri - direttore della Commissione centrale affari esteri, il più importante organismo di politica estera del Partito comunista cinese.
Intervenendo alla 59esima Conferenza sulla sicurezza di Monaco, il 18 febbraio scorso Wang ha dipinto così l’attuale quadro internazionale: «Dopo tre anni, la pandemia è contenuta, ma il mondo non è diventato più sicuro. Manca la fiducia tra i principali paesi, le divisioni geopolitiche si stanno allargando, l’unilateralismo dilaga, la mentalità da guerra fredda è tornata e continuano a emergere nuovi tipi di minacce alla sicurezza».
In questo quadro - secondo Wang - i governi europei «sperano tutti nella ripresa delle consultazioni faccia a faccia e di riattivare la cooperazione nei diversi settori». In effetti la guerra in Ucraina ha ridotto sensibilmente l’export dell’Ue verso la Russia, aumentando l’attrattiva del mercato cinese.
La strategia di Pechino è quella di evitare la formazione di un fronte unito occidentale anti-Cina a guida Usa: in quest’ottica per Pechino è essenziale rilanciare le relazioni con i maggiori paesi dell’Ue (Germania, Francia e Italia). Non sarà un compito facile: a causa della sua quasi-alleanza con la Russia e del protrarsi della guerra in Ucraina, la Cina viene ormai percepita dai governi europei anche come un problema di sicurezza, oltre che un’opportunità economica.
L’offensiva diplomatica di Pechino nei confronti dei paesi dell’Ue può essere riassunta in tre obiettivi fondamentali: 1) limitare l’adesione dei paesi dell’Unione al contenimento guidato dagli Usa; 2) ridurre il più possibile le restrizioni all’accesso alla tecnologia europea; 3) continuare a ottenere maggiore spazio possibile al mercato dell’Ue, provando nel frattempo a far crescere i consumi interni in Cina e le esportazioni nel Sud del mondo.
L’8 febbraio scorso, intervenendo a Bruxelles durante un evento organizzato dallo European Policy Centre, il nuovo capo della missione cinese presso l’Unione Europea, Fu Cong, ha invitato a cancellare simultaneamente le sanzioni o a trovare qualsiasi altra soluzione per arrivare alla ratifica e all’entrata in vigore del Comprehensive Agreement on Investment (Cai). Negoziato per sette anni, il Cai è stato “sospeso” dopo le sanzioni che, il 22 marzo 2021, l’Unione Europea ha varato contro la Repubblica Popolare Cinese (che ha reciprocato lo stesso giorno) per le «detenzioni arbitrarie su larga scala, in particolare di uiguri, nella regione cinese del Xinjiang».
Secondo Fu, il Cai è lo strumento adatto per «risolvere tutte le preoccupazioni degli uomini d’affari europei che hanno delle lamentele sull’accesso al mercato cinese». Il trattato, che garantirebbe maggiore spazio per gli investitori dell’Ue nel mercato cinese, non ha convinto la Confindustria tedesca, la Bdi, secondo la quale esso «non risolve gli squilibri strutturali di accesso al mercato» e «non cambia fondamentalmente» la situazione delle compagnie europee in Cina. Nel 2022, la Cina - con 298 miliardi di euro di interscambio - si è confermata il principale partner commerciale della Germania per il settimo anno consecutivo. Ma l’insediamento a Berlino, a fine 2021, di una coalizione di governo (socialdemocratici-verdi-liberali) sensibile alla difesa dei diritti dell’uomo ha prodotto una saldatura tra rimostranze ideologiche ed economiche che, al momento, rende altamente improbabile lo sblocco del Cai.
Tra i tanti inviti a ravvivare le relazioni Cina-Ue, il 4 marzo scorso è arrivato quello del portavoce della prima sessione della XIV Anp, secondo cui la retorica che vuole «Cina ed Europa come “rivali sistemici”» è frutto di una mentalità da Guerra fredda e pregiudizi ideologici. Ammettendo che la Cina e l’Ue hanno opinioni divergenti su alcuni dossier, Wang Chao ha sostenuto che non ci sono disaccordi o conflitti strategici fondamentali tra le due parti, che hanno interessi comuni e una base di cooperazione costruita nel corso di molti anni.
Ai primi di aprile è atteso a Pechino il presidente francese, Emmanuel Macron, dopo che, a inizio novembre, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, era accorso a congratularsi con Xi, appena rieletto segretario generale del partito, portandosi dietro gli amministratori delegati del gotha delle multinazionali teutoniche. Dopo Macron, dovrebbe toccare anche al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
In una recente dichiarazione il vice presidente della Camera di commercio europea in Cina ha riassunto così la difficoltà di maturare una “autonomia strategica” da parte di 27 paesi che, di fatto, non hanno una politica estera comune: «L’Europa sta sviluppando un approccio indipendente che non è necessariamente completamente identico» a quello Usa, ha detto Jens Eskelund.
Gli imprenditori premono per una piena ripresa della cooperazione - dopo la pandemia e nonostante le tensioni con gli Usa - perché sperano in ulteriori aperture dei mercati cinesi. Per questo hanno appena concluso un tour delle istituzioni comunitarie per promuovere le relazioni Cina-Unione europea.
Il presidente della Camera di commercio europea in Cina, Joerg Wuttke, ha raccontato che dalle autorità dell’Ue «abbiamo avuto la conferma che il de-coupling non è in agenda, che la parola d’ordine è de-risking: abbiamo insomma ancora un’ampia area di cooperazione».
L’Unione Europea importa dalla Cina più del doppio di quanto i paesi dell’Ue esportano in Cina. La Cina è ancora relativamente chiusa anche agli investimenti stranieri, basti pensare - ricorda Wuttke - che in Cina investono le compagnie dell’Ue soprattutto di tre grandi settori (macchinari, chimica e automotive) e che negli ultimi vent’anni gli investimenti europei a Taiwan sono ammontati a 45 miliardi di dollari e quelli in Cina (paese enormemente più popoloso) solo a 170 miliardi di dollari.
Questa chiusura è dovuta essenzialmente al tradizionale monopolio statale nei settori strategici (energia, trasporti, infrastrutture, finanza, telecomunicazioni). Tuttavia la Cina nei prossimi anni avrà un grande bisogno di investimenti esteri, sia perché essi sono utili allo sviluppo di qualsiasi economia moderna, sia perché servono a Pechino per contrastare le tendenze al de-coupling che arrivano da Washington. La priorità è quella di mantenere l’economia cinese agganciata alle catene di fornitura globali.
L’Ue si aspetta in particolare maggiore spazio nell’industria dei servizi, il settore meno “investito” dagli operatori europei.
Dunque il clima per gli stranieri potrebbe farsi più favorevole. Ma per quali investitori in particolare? Nel suo “rapporto sul lavoro del governo”, il premier uscente Li Keqiang ha affermato: «Dobbiamo garantire il trattamento nazionale per le società finanziate dall’estero... migliorare i servizi per le società finanziate dall’estero e facilitare il lancio di importanti progetti finanziati dall’estero. Con un mercato vasto e aperto, la Cina offrirà sicuramente opportunità di business ancora maggiori per le società straniere in Cina».
La direttiva di Li Keqiang di «facilitare il lancio di importanti progetti finanziati dall’estero» ricorda lo sbarco a Shanghai, nel 2018, della Tesla Gigafactory, uno dei maggiori successi dell’ex segretario di partito a Shanghai, Li Qiang. La sua capacità di attirare in Cina grandi multinazionali in grado di creare un gran numero di posti di lavoro e invogliare i consumatori ad acquistare prodotti di brand iconici sarà messa alla prova a partire da domenica prossima quando, con ogni probabilità, diventerà il nuovo premier cinese.
Ho trovato il testobun quadro molto esauriente dell'attuale fase di sviluppo della società cinese e delle presumibilinprospettive a venire.