newsletter - Nato, Zelensky, G7... Pechino respinge le accuse di connivenza con il nemico
Ma la guerra in Ucraina condiziona sempre di più i rapporti tra la Cina e l'Occidente
La guerra in Ucraina e la quasi-alleanza Pechino-Mosca agitano le relazioni tra la Cina e l’Occidente. L’ultimo attacco contro la “neutralità” professata da Pechino è arrivato da Jens Stoltenberg, che ha spiegato così l’espansione all’Asia orientale delle attività dell’Alleanza atlantica: «Il crescente allineamento tra la Russia e i suoi amici autoritari in Asia rende ancora più importante la nostra stretta collaborazione con i nostri amici nell’Indo-Pacifico».
Durante il suo intervento al Wilson Center di Washington (il 17 giugno scorso), il segretario generale della Nato ha inoltre sostenuto che «la realtà è che la Cina sta alimentando il più grande conflitto armato in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale. E allo stesso tempo vuole mantenere buoni rapporti con l’Occidente».
Dichiarazioni pesanti, alla vigilia del summit della Nato che andrà in scena nella capitale statunitense dal 9 all’11 luglio, al quale (come al precedente vertice annuale a Madrid) parteciperanno anche Giappone, Corea del sud, Australia e Nuova Zelanda, i cosiddetti “Quattro dell’Indo-Pacifico”, paesi con i quali la Nato sta rafforzando il coordinamento in un’ottica di contenimento della Cina.
Secondo Stoltenberg, le esportazioni cinesi di semiconduttori a doppio impiego (civile-militare) e di capacità satellitari stanno consentendo alla Russia di «infliggere più morte e distruzione all’Ucraina, rafforzare la sua base industriale di difesa ed eludere l’impatto delle sanzioni e dei controlli sulle esportazioni».
Martedì il ministero degli esteri di Pechino ha replicato che «la Nato è un prodotto della Guerra Fredda e la più grande forza militare del mondo. La Nato dovrebbe riflettere un po’ sul ruolo che ha avuto nella crisi ucraina, invece di diffamare e attaccare arbitrariamente la Cina». «Vorrei consigliare alle parti interessate di smettere di spostare le responsabilità e di seminare discordia, di astenersi dal versare benzina sul fuoco e dall’istigare lo scontro tra blocchi, e di fare qualcosa di concreto allo scopo di risolvere politicamente la crisi», ha aggiunto il portavoce, Lin Jian.
Nel fine settimana aveva fatto rumore l’assenza della Cina dalla conferenza di pace sull’Ucraina che si è svolta a Lucerna, in Svizzera, alla quale la Russia non era stata invitata.
«Raggiungere la pace richiede il coinvolgimento e il dialogo tra tutte le parti», si legge nel comunicato finale del vertice.
Il documento ha inoltre riaffermato l’impegno per la «sovranità, indipendenza e integrità territoriale di tutti gli stati, compresa l’Ucraina, entro i loro confini riconosciuti a livello internazionale».
Nessun paese fondatore del gruppo Brics (Brasile, Russia non invitata, India, Cina non partecipante, Sud Africa) così come nemmeno l’Arabia Saudita, ha firmato il comunicato congiunto sottoscritto da 79 stati. In sostanza è fallito il tentativo del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, di accrescere l’isolamento internazionale della Russia tra i paesi del Sud globale che tuttora rifiutano di appoggiare Kiev.
Alla vigilia dell’incontro di Lucerna, Pechino ha chiesto colloqui di pace diretti tra Russia e Ucraina “il più presto possibile”. «La Cina invita le parti in conflitto a dimostrare volontà politica, a riunirsi e ad avviare colloqui di pace il prima possibile per raggiungere un cessate il fuoco e fermare le azioni militari», ha dichiarato Geng Shuang, vice rappresentante permanente della Cina presso le Nazioni Unite.
E lunedì scorso la Cina ha risposto anche ai leader del G7, che nel vertice in Puglia del fine settimana avevano esortato Pechino a smettere di fornire tecnologia a doppio uso che verrebbe utilizzata nelle armi russe, affermando che la loro dichiarazione di fine vertice è «piena di arroganza, pregiudizi e bugie».
Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha affermato che la dichiarazione «ha calunniato e attaccato la Cina», utilizzando «cliché che non hanno basi fattuali, basi legali e giustificazioni morali, e sono pieni di arroganza, pregiudizi e bugie». Il comunicato finale del G7 (Stati Uniti, Giappone, Francia, Germania, Canada, Gran Bretagna e Italia) ha inoltre stigmatizzato quelle che ha definito incursioni “pericolose” della Cina nel Mar cinese meridionale.
Il Fondo monetario internazionale apre a Shanghai uno hub per la regione Asia-Pacifico
Il Fondo monetario internazionale (Fmi) aprirà a Shanghai un centro regionale per rafforzare la sua azione nella regione Asia-Pacifico. L’annuncio è stato dato il 18 giugno attraverso un comunicato congiunto Fmi-Banca centrale cinese, secondo cui il centro regionale di Shanghai sarà uno hub per promuovere ricerche in grado di informare le politiche in aree di interesse per i paesi emergenti e a reddito medio.
Il nuovo centro regionale avrà dunque la funzione di favorire il coordinamento del Fmi con i paesi membri e gli stakeholder della regione Asia-Pacifico.
Il governatore della Banca centrale cinese, Pan Gongsheng, ha dichiarato: «Riteniamo che lo Shanghai Regional Center approfondirà la cooperazione tra Fmi e Cina, migliorerà lo scambio e il coordinamento delle politiche macroeconomiche tra i paesi dell’Asia-Pacifico e sosterrà la stabilità finanziaria regionale e globale».
Tra suoi i fondatori, con il 6,08 per cento la Cina è il terzo paese per voti in seno al consiglio di amministrazione del Fmi (dopo gli Stati Uniti, che ne detengono il 16,5 per cento, e il Giappone, con il 6,14 per cento). Nel 2016, il RMB cinese è stato aggiunto al paniere di valute che compongono i Diritti Speciali di Prelievo (Dsp) del Fmi. Il mese scorso il Fmi ha rivisto al rialzo (+0,4 per cento) la sua stima di crescita dell’economia cinese nel 2024, allineandola a quella del governo di Pechino (+5 per cento).
Ciononostante il Fmi ha criticato ripetutamente le politiche industriali attuate dal governo di Pechino per sostenere i settori strategici dell’economia, politiche che secondo il Fmi sarebbero all’origine di una cattiva distribuzione delle risorse all’interno del paese, nonché dannose per i partner commerciali della Cina.
Secondo Gita Gopinath, prima vicedirettrice generale del Fondo monetario internazionale, le priorità della Cina dovrebbero includere «il riequilibrio dell’economia verso il consumo, rafforzando la rete di sicurezza sociale e liberalizzando il settore dei servizi per consentirgli di aumentare il potenziale di crescita e creare posti di lavoro».
Panda d’oro a Shanghai, le aziende italiane premiate alla XIII edizione
Sabato 15 giugno si è svolta a Shanghai la XIII edizione dei Panda D’Oro Gala Awards, organizzata dalla Camera di commercio italiana in Cina (Cicc). Si è trattato di un’edizione da record che ha visto la partecipazione di quasi 700 persone tra manager, imprenditori, soci e amici della Cicc, oltre a rappresentanti delle istituzioni italiane e cinesi, e 80 candidature nelle diverse categorie del premio (a questo link l’elenco delle 35 aziende vincitrici).
Il tema della serata-evento - con il patrocinio dell’Ambasciata d’Italia nella Repubblica Popolare Cinese e del Consolato Generale d’Italia a Shanghai, e in collaborazione con gli Istituti Italiani di Cultura di Pechino e Shanghai - è stato “Marco Polo - 700 anni dopo”: per celebrare i 700 anni dalla morte di Marco Polo tutti gli ospiti hanno potuto ammirare in anteprima dal vivo e virtuale alcune delle opere che saranno esposte durante la mostra “Un viaggio della conoscenza. I viaggi di Marco Polo e la sua eredità tra Oriente e Occidente” che aprirà a Pechino a luglio.
La cerimonia è stata aperta da S.E. Massimo Ambrosetti, che ha espresso il suo sincero apprezzamento per il lavoro svolto dalla Cicc e ha condiviso un messaggio di sostegno alla comunità imprenditoriale italiana in Cina:
«L’evento di oggi si inserisce in una fase particolarmente dinamica del rapporto tra Italia e Cina. La Camera di Commercio Italiana in Cina svolge un ruolo importante nel rafforzamento delle relazioni bilaterali. Colgo l’occasione per esprimere la mia sincera gratitudine per il lavoro svolto dalla Camera a sostegno delle nostre imprese in un mercato strategico ma allo stesso tempo complesso e competitivo come quello cinese e per assicurare che tutte le istituzioni italiane in Cina continueranno a fornire il massimo sostegno alle aziende italiane che operano nel mercato cinese».
Il Presidente della Cicc, Lorenzo Riccardi, ha poi tenuto un discorso in cui ha dato il benvenuto a tutti i partecipanti, ringraziando l’Ambasciatore, il Console Generale e tutte le istituzioni, sia italiane che cinesi, che hanno partecipato all’evento e per il costante sostegno dato alla Cicc e alle aziende:
«Sono molto lieto che quest’anno il nostro evento più importante sia dedicato al 700° anniversario della morte di Marco Polo. Questo è un simbolo delle relazioni internazionali, che evidenzia l’importanza dell’Italia negli scambi culturali e nella storia delle relazioni economiche con la Cina. Oggi la Cina rappresenta per l’Italia il più grande mercato asiatico. L’obiettivo della nostra associazione è favorire i rapporti d’impresa e vogliamo farlo con le istituzioni, gli imprenditori e le migliaia di persone che lavorano per i nostri soci, che ringraziamo».
Maiali europei, Pechino avvia inchiesta anti-dumping per incrinare il fronte protezionista Macron-von der Leyen
Il 17 giugno il ministero del commercio cinese (Mofcom) ha fatto sapere che aprirà un’indagine antidumping su alcune carni e sottoprodotti suini provenienti dall’Unione europea. In questo modo il governo di Pechino ha risposto alla mossa dell’Ue, che il 12 giugno scorso aveva annunciato che, a partire dal 4 luglio, aumenterà i dazi d’importazione sui veicoli elettrici (Ev) prodotti in Cina, fino al 38,1 per cento rispetto all’attuale 10 per cento.
L’inchiesta avviata dal Mofcom dovrà chiudersi entro il 17 giugno 2025 ma potrà essere prorogata fino a sei mesi. Per la sua contromossa Pechino ha scelto l’agricoltura per l’importanza che riveste nella politica europea.
Nel 2023 la carne di maiale ha rappresentato il 17 per cento dell’export di agri-food Ue verso la Cina. L’anno scorso, la Cina ha importato 6 miliardi di dollari di carne suina, più della metà dei quali proveniva dall’Europa a 27. I principali esportatori di carne suina Ue verso la Cina sono la Spagna e la Francia (quest’ultima sponsor principale dell’inchiesta della Commissione sugli Ev prodotti in Cina).
Nel 2023, secondo i dati dell’amministrazione generale delle dogane, la Spagna ha esportato carne di maiale per un valore di 6,04 miliardi di RMB (832,4 milioni di USD) in Cina, i Paesi Bassi hanno totalizzato 1,86 miliardi di RMB e la Francia 1,07 miliardi di RMB.
Il Global Times - il quotidiano cinese che aveva “anticipato” l’apertura dell’indagine sulla carne di maiale - ha rivelato che, oltre all’indagine antidumping su alcune carni e sottoprodotti suini, ne sarebbe in arrivo anche una sulle importazioni di prodotti lattiero-caseari dall’Ue.
Inoltre, in un incontro che si è tenuto presso il ministero del commercio il 18 giugno scorso (al quale hanno partecipato anche sei produttori europei), i produttori cinesi hanno chiesto al governo d’imporre una tassa del 25 per cento sui veicoli di grossa cilindrata importati dall’Ue. In definitiva, Pechino ha mandato a Bruxelles il segnale che se l’Ue sceglierà la strada di una guerra commerciale, ci rimetteranno entrambe le parti.
Prendendo di mira l’agri-food e annunciando possibili rappresaglie contro altri settori, Pechino mira a negoziare una revisione dei dazi annunciati dalla Commissione sugli Ev, diventati per la Cina un’industria strategica. Per Pechino è fondamentale che il mercato europeo - il più ricco e avanzato in questo settore - resti relativamente aperto ai veicoli elettrici made in China.