Le condizioni di Pechino per riprendere il dialogo con gli Usa; la prima mega nave da crociera made in China; tonfo dell'export a maggio.
Alla conferenza sulla sicurezza di Singapore il debutto del ministro della difesa Li Shangfu: basta provocazioni su Taiwan e nel Mar cinese meridionale
Lo Shangri-La Dialogue che si è svolto a Singapore dal 2 al 4 giugno scorso è stato preceduto e accompagnato da due quasi collisioni tra aerei e navi cinesi e statunitensi, rispettivamente nei cieli sul Mar cinese meridionale (il 26 maggio) e nello Stretto di Taiwan (il 3 giugno). Si è trattato di vere e proprie manovre “di avvertimento”, con le quali l’Esercito popolare di liberazione (Epl) ha sottolineato il monito lanciato il 4 giugno dal nuovo ministro della difesa di Pechino dal palco della ventesima conferenza sulla sicurezza organizzata dallo International Institute for Strategic Studies (Iiss).
Li Shangfu, il figlio di un importante veterano dell’armata rossa che il presidente cinese ha voluto a capo dell’Epl, ha pronunciato un discorso (il cui testo è consultabile a questo link) destinato a passare alla storia, dal momento che Xi Jinping ha mandato il suo generale (sotto sanzioni Usa dal 2018 per l’acquisto di armi dalla Russia) a proclamare davanti a centinaia tra ministri ed esperti di difesa che la Cina non tollera più “interferenze” in quelle due zone strategiche del Pacifico occidentale. I pattugliamenti degli Stati Uniti e dei loro alleati per garantire la “libertà di navigazione” in acque internazionali nel Mcm e intorno a Taiwan sono, ha dichiarato Li, «provocazioni per esercitare un’egemonia di navigazione» e come tali vanno contrastati.
Il ministro della difesa ha di fatto dettato le condizioni di Pechino per riprendere il dialogo con Washington che, a livello di comandi militari, è pericolosamente interrotto dal 2 agosto scorso, quando l’allora terza carica degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, fu ricevuta a Taiwan dalla presidente Tsai Ing-wen. Pechino pretende un allentamento della pressione degli Stati Uniti e dei loro alleati su Taiwan e nel Mar cinese meridionale: lo ha confermato l’ex ambasciatore a Washington Cui Tiankai, presente anch’egli a Singapore. La leadership cinese vuole inoltre che - in segno di rispetto per la sua nuova carica di ministro della difesa - l’amministrazione Biden rimuova le sanzioni nei confronti di Li.
Nel mirino di Li Shangfu sono finite le partnership di difesa Quad (Usa, Australia, India e Giappone) e Aukus (Australia, Regno Unito e Usa), incentrate sul Pacifico occidentale, definite un «tentativo di favorire lo sviluppo di alleanze militari simili alla Nato, sequestrando i paesi della regione ed esagerando conflitti e scontri, che non faranno altro che far precipitare l’Asia-Pacifico in un vortice di controversie e conflitti». A queste Li ha contrapposto la Global security initiative lanciata da Xi, incentrata sullo sviluppo economico piuttosto che sulla comune adesione all’ordine internazionale liberale.
Se, da un lato, la Cina mostra i muscoli, dall’altro il contrasto esplicito alle sue rivendicazioni di sovranità su Taiwan e nel Mar cinese meridionale (affermato anche dal recente vertice del G7 di Hiroshima), così come l’utilizzo politico e il risalto mediatico dato in Occidente all’incidente del pallone spia dell’inizio dell’anno, o le stesse sanzioni contro Li sono motivo di imbarazzo per la leadership di Pechino, perché cozzano con la narrazione del “grandioso risveglio della nazione cinese” promossa da Xi come principale collante tra la società e il partito unico.
Come che sia, i rapporti tra Pechino e Washington sono ai minimi dal 1979, da quando Cina e Stati Uniti stabilirono ufficialmente relazioni diplomatiche. E l’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean) - in equilibrio tra commercio con la Cina e legami di sicurezza con gli Stati Uniti - a Singapore si è dichiarata “molto preoccupata”. A nome del gruppo di dieci paesi il ministro della difesa della città-stato, Ng Eng Hen, ha avvertito che «devono esistere canali di comunicazione, sia formali che informali, in modo che quando si verificano questi incidenti non pianificati, tali canali possano essere utilizzati per ridurre l’escalation ed evitare conflitti, altrimenti potrebbe essere troppo tardi per avviarli o attivarli nei momenti di crisi». Le controparti cinesi avranno certamente parlato di questo (oltre che di Ucraina) incontrando il direttore della Cia, William Burns, che il mese scorso si è recato in segreto in Cina.
Mentre Li parlava allo Shangri-La Dialogue, a Pechino sono sbarcati il sottosegretario di stato per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico, Daniel Kritenbrink, e la nuova direttrice gli affari della Cina e di Taiwan del Consiglio per la sicurezza nazionale, Sarah Beran, per discutere «questioni chiave della relazione bilaterale». Le posizioni tra Pechino e Washington restano distanti, tanto che mercoledì 7 giugno Kurt Campbell, il responsabile della Casa Bianca per la sicurezza nazionale con delega sull’Asia-Pacifico, ha dichiarato che «siamo ancora relativamente all'inizio del processo di questo ciclo di impegno in termini di dialogo e diplomazia tra [gli Stati Uniti] e la Cina, ed è incerto quale traiettoria prenderà, ma posso assicurarvi... condurremo la nostra diplomazia con la Cina nella più stretta consultazione possibile con alleati e partner».
Parte da Shanghai la prima mega nave da crociera “made in China”
Con la partenza, martedì 6 giugno, della “Adora Magic City” dal porto di Shanghai, la manifattura delle aziende di stato cinesi ha compiuto un altro storico passo avanti. Costruita dalla Shanghai Waigaoqiao Shipbuilding (di proprietà della China State Shipbuilding Corporation, CSCC), la “Adora Magic City” è infatti la prima mega nave da crociera fabbricata in Cina, la cui industria fa così ingresso in un settore finora dominato dalle compagnie europee. “Adora Magic City” è un transatlantico di 135.500 tonnellate di stazza, lungo 323,6 metri e largo 37,2, potrà ospitare fino a 5.246 passeggeri, sarà la prima imbarcazione della sua categoria dotata di connessione 5G e ospiterà il negozio duty-free più grande del mondo, un hotel di lusso, cinema e parchi acquatici.
Roger Chen, amministratore delegato di CSSC Carnival, operatore della “Adora Magic City” ha spiegato che «la nave da crociera partirà da Shanghai per il Giappone e il Sud-est asiatico dopo la consegna (prevista per la fine del 2023, ndr). A tempo debito verrà varata una rotta di medio e lungo percorso lungo la via della Seta marittima». Gli stessi cantieri shanghaiesi dai quali è uscita la “Adora Magic City” hanno iniziato nell’agosto 2022 la fabbricazione di un’altra nave da crociera analoga, un evidente segnale che il paese ha acquisito le tecnologie chiave per la progettazione e la costruzione di grandi navi da crociera e che presto sarà in grado di avviarne la produzione di massa, lanciando così la sfida ai colossi europei, tra cui l’italiana Fincantieri.
Come abbiamo raccontato nel numero precedente di Rassegna Cina, il 28 maggio scorso la compagnia aerea China Eastern aveva iniziato a imbarcare passeggeri nel nuovo C919 fabbricato dalla Commercial aircraft corporation of China (Comac), che si è così candidata a spezzare il duopolio Usa-Ue (Boeing-Airbus) nella categoria a fusoliera stretta (corridoio singolo), che rappresenta il 60 per cento della produzione globale di velivoli passeggeri. La costruzione di una nave da crociera di grandi dimensioni è un processo che presenta enormi complessità, basti pensare che a tal fine è necessario un numero di componenti pari a sei volte quelle utilizzate per il C919.
Quando la “Adora Magic City” sarà ufficialmente operativa, la Cina diventerà il quinto paese al mondo ad avere mega navi da crociera, dopo Italia, Francia, Finlandia e Germania. Secondo un documento della China Cruise and Yacht Industry Association e dell’Accademia di scienze sociali di Shanghai, l’industria delle navi da crociera è in grado di aggiungere 550 miliardi di yuan (77,5 miliardi di dollari) al prodotto interno lordo della Cina entro il 2035. Circa il 15% di questa cifra arriverebbe dalla costruzione di nuove navi e dalla manutenzione.
Nel periodo pre-Covid l'industria globale delle crociere ha evidenziato un grande potenziale. Tra il 2009 e il 2019, è cresciuta in media del 5,28% all’anno. Nello stesso periodo, il numero complessivo dei passeggeri delle mega navi da crociera è aumentato da 17,8 milioni a 29,7 milioni. In questo contesto i consumatori cinesi rappresentano, dopo gli statunitensi, la seconda nazionalità di vacanzieri in crociera. Nel 2019 i passeggeri cinesi delle navi da crociera sono stati 2,4 milioni, l’8% del totale dei passeggeri.
Nel 2019 Carnival Corporation (la società anglo-statunitense che è il maggior operatore al mondo nel settore delle crociere) ha trasportato 12,9 milioni di passeggeri sulle sue 104 navi (+500.000 rispetto al 2018). Ma a trainare il fatturato di Carnival Corporation è soprattutto la regione americana ed europea, mentre l’Australia e l'Asia rappresentano solo 2,6 miliardi di dollari, il 12,6% delle entrate complessive. Tuttavia Carnival Corporation (che nel 2018 ha annunciato una joint-venture con la China State Shipbuilding Corporation) sta espandendo la sua posizione sul mercato cinese, perché si prevede che la Cina diventerà il più grande mercato di crociere al mondo.
Export, -7,6% a maggio: il governo discuterà un piano per stimolare la domanda interna e gli investimenti
Gli ultimi dati sul commercio, pubblicati mercoledì 7 giugno dall’amministrazione delle dogane cinesi, confermano che il paese dovrà accelerare la riduzione della dipendenza dalle esportazioni, che nel biennio 2020-2022 hanno rappresentato 1/5 del suo prodotto interno lordo. La guerra commerciale con gli Stati Uniti e la riduzione della domanda globale hanno infatti fatto registrare nel mese di maggio un brusco rallentamento dell’export della Cina: -7,5% rispetto allo stesso periodo del 2022. Dopo il +8,5% registrato ad aprile, il mese scorso le spedizioni di prodotti cinesi sono aumentate praticamente soltanto verso la Russia (+114,32%), che tuttavia rappresenta ancora un mercato relativamente marginale per il made in China.
Il calo su base annua delle spedizioni verso gli Stati Uniti ha raggiunto il 18,24% a maggio (dopo il -6,5% di aprile), segnando il decimo mese consecutivo in negativo. Dopo due mesi di ripresa, anche le esportazioni verso l’Unione Europea sono tornate col segno meno, scendendo del 7,03% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Giù anche gli scambi con il principale partner commerciale della Cina, i dieci paesi dell’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean) - che avevano rappresentato il principale motore della buona performance delle esportazioni della Cina a marzo e aprile - verso i quali il mese scorso l’export è diminuito del 15,92%. Malgrado il declino dell’export, il surplus commerciale nei primi cinque mesi del 2023 ha raggiunto 360 miliardi di dollari (nello stesso periodo del 2022 aveva toccato 281 miliardi di dollari).
Anche l’andamento delle importazioni (-4,5% a maggio, dopo il -7,9% di aprile) riflette la debolezza della domanda dall’estero di prodotti cinesi, poiché la Cina importa componenti e materiali dall’estero per assemblare prodotti finiti per l’esportazione. I dati della Corea del Sud della scorsa settimana hanno mostrato che le spedizioni in Cina sono diminuite del 20,8% a maggio, facendo registrare 12 mesi consecutivi con segno meno, con le esportazioni coreane di semiconduttori in calo del 36,2%.
Le statistiche sul calo delle esportazioni rappresentano l’ennesima conferma della giustezza della strategia della “doppia circolazione” intrapresa dalla leadership cinese, che prevede di ridurre la dipendenza dai mercati internazionali e puntare maggiormente su quello interno.
Il mese di maggio aveva già fatto registrare una contrazione dell’attività industriale, registrata dai dati pubblicati il 31 maggio scorso dall’Ufficio nazionale di statistica. L’indice Pmi manifatturiero è sceso a maggio a 48,8 (da 49,2 di aprile), secondo i dati dell’Ufficio nazionale di statistica (Nbs). Si tratta del minimo degli ultimi cinque mesi, al di sotto della soglia di 50 punti che separa l’espansione dalla contrazione.
Il premier Li Qiang ha annunciato che saranno necessarie misure più mirate per favorire la domanda, mentre il 15 maggio scorso la banca centrale cinese (Pboc) ha fatto sapere che fornirà un sostegno “forte e stabile” all’economia reale.
In attesa dei nuovi dati che arriveranno nelle prossime settimane su vendite al dettaglio, investimenti immobiliari, inflazione, disoccupazione, si sta delineando un quadro nel quale il governo potrebbe varare un sostanzioso stimolo per sostenere la domanda interna e gli investimenti, a base di misure fiscali, monetarie e riforme strutturali. Indicazioni in tal senso potranno emergere dalle prossime riunioni dello stesso Consiglio di stato e da quella di luglio dell’ufficio politico del partito comunista cinese, prima della pausa estiva. Intanto (dopo quello di 25 punti base dello scorso marzo) è atteso da parte della Banca centrale (Pboc) un ulteriore taglio del tasso di riserva obbligatorio delle banche per favorire la ripresa.
A spingere per un’azione più decisa da parte del governo è il continuo rallentamento della domanda dall’estero - di cui si prevede un’ulteriore riduzione nella seconda metà del 2023 - e l’insufficiente domanda interna. Dopo le statistiche relativamente incoraggianti del primo trimestre 2023, i dati deludenti sull’attività economica del mese scorso - sulle vendite al dettaglio, la produzione industriale e gli investimenti in capitale fisso - lasciano infatti immaginare che anche la ripresa della domanda interna cinese abbia perso vigore dopo il rimbalzo gemmato-marzo, indotto dalle riaperture dopo la rimozione delle restrizioni anti-Covid alla fine del 2022.
Il governo cinese ha previsto per quest’anno una crescita del Pil intorno al 5%.
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