Taiwan, perché il (terzo) war game di Pechino
La reazione cinese all'insediamento del presidente Lai tra propaganda e scenari futuri
Buongiorno da Shanghai.
La prova di blocco navale e aereo che l’Esercito popolare di liberazione (Epl) ha condotto dal 23 al 24 maggio intorno a Taiwan è stata seguita in Cina da milioni di persone, che sui social e in tv hanno visto le manovre di decine di caccia e imbarcazioni con la stella rossa, accompagnate da canzoni patriottiche e dalle spiegazioni degli analisti militari.
Il war game “Spada unita-2024A” ha avuto anzitutto un significato propagandistico. Eleggendo per la terza volta consecutiva un presidente del Partito progressista democratico (Dpp) - William Lai Ching-te, che si è insediato il 20 maggio scorso - i taiwanesi hanno ribadito che non ne vogliono sapere della “riunificazione” alla Repubblica popolare cinese. E la leadership del Partito comunista cinese (Pcc) ha reagito sfoggiando i muscoli, per non scontentare i nazionalisti e l’esercito.
Si è trattato della terza esercitazione di questo tipo in meno di due anni, in risposta a quelle che il Pcc considera provocazioni da parte di “autorità secessioniste”: la prima nell’agosto 2022, in seguito alla visita a Taipei dell’allora speaker della Camera Usa, Nancy Pelosi; la seconda nell’aprile 2023, dopo l’incontro negli Stati Uniti tra l’allora presidente taiwanese Tsai Ing-wen e il successore di Pelosi, Kevin McCarthy; quest’ultima in risposta al discorso d’insediamento di Lai.
Secondo gli esperti cinesi di questioni militari, “Spada unita-2024A” - durante la quale i mezzi dell’Epl si sarebbero avvicinati come mai negli ultimi anni a Taiwan - segna il passaggio a una nuova fase: dopo quella della costante, accentuata pressione militare sull’isola seguita alla visita di Pelosi, ora Pechino intenderebbe ripetere frequentemente operazioni come quest’ultima, in vista di un possibile accerchiamento e/o attacco all’isola.
Il discorso con cui Lai ha dato l’avvio al suo mandato quadriennale è stato caratterizzato da toni più marcatamente “indipendentisti” rispetto alla sua predecessora Tsai. Lai ha tra l’altro definito ripetutamente Taiwan una “nazione”. Rispolverando lo slogan reaganiano, ha detto di voler raggiungere con la Repubblica popolare cinese (Rpc) la «pace attraverso la fermezza» e invitato Pechino a «riconoscere la realtà dell’esistenza della Repubblica di Cina».
Il nuovo presidente dovrà tuttavia fare i conti con uno Yuan legislativo nel quale il suo Dpp (51 deputati) non ha la maggioranza e il Kuomintang (52) e il Partito popolare (8) - entrambi favorevoli al dialogo con Pechino - stanno facendo fronte comune contro il governo di minoranza, e il 28 maggio sono riusciti a far passare in terza lettura una riforma per estendere il controllo parlamento sul governo.
Al momento Lai e il suo Dpp - che non riconoscono il “Consenso del 1992” - sulle relazioni con la Rpc hanno le mani legate. Oltre a scontare un enorme gap militare nei confronti di Pechino, il nuovo presidente taiwanese deve infatti vedersela con l’opposizione interna, mentre Xi Jinping e Joe Biden il 15 novembre scorso si sono accordati per non andare allo scontro su Taiwan.
Ciononostante gli Stati Uniti (che hanno appena varato un pacchetto di aiuti militari da 1,9 miliardi di dollari per l’isola) continueranno ad armare Taiwan con sistemi di difesa acquistati dagli Usa. «Il Congresso vuole che Taiwan aumenti il suo bilancio per la difesa, perché senza aumenti di bilancio, Taiwan non sarà in grado di proteggere la democrazia dall’aggressione del Pcc», ha dichiarato il presidente della commissione esteri della Camera, Michael McCaul, in visita a Taipei per congratularsi con Lai.
Il fondo Silk Road esce da Pirelli
Il cinese Silk Road Fund ha venduto il suo 9 per cento di quote uscendo così dall’azionariato di Pirelli. Il 2,2 per cento dei titoli di proprietà ceduti da Silk Road Fund è stato rilevato dalla Camfin di Marco Tronchetti Provera, che è così salito al 22,8 per cento del colosso degli pneumatici di cui è vice presidente esecutivo.
Il principale azionista di Pirelli resta il conglomerato di stato cinese Sinochem, che detiene il 37 per cento delle azioni. L’uscita del Silk Road Fund arriva dopo che l’anno scorso il governo Meloni ha utilizzato la cosiddetta “golden power” per limitare l’influenza di Sinochem in Pirelli.
E così giovedì 30 maggio Silk Road Fund ha completato la vendita delle sue 90,2 milioni di azioni Pirelli a 5,76 euro ciascuna, valutando l’intera partecipazione circa 520 milioni di euro. Il prezzo di vendita finale ha leggermente superato la previsione di 5,69 euro fissata il giorno precedente, quando era stata avviata la procedura di vendita.
L’operazione è stata coordinata da J.P. Morgan, con BofA Securities, J.P. Morgan, HSBC come joint bookrunner e - secondo fonti finanziarie - si è chiusa in poche ore, con la domanda molto superiore all’offerta.
Il 30 maggio in apertura il titolo Pirelli, quotato a Milano, perdeva il 5 per cento, a 5,88 euro. Mercoledì, prima dell’annuncio della vendita, le azioni avevano chiuso a 6,19 euro, conferendo alla società una capitalizzazione di mercato di circa 6,2 miliardi di euro.
Il Silk Road Fund è un fondo controllato dal governo cinese (che detiene anche circa il 5 per cento delle azioni di Autostrade per l’Italia) incaricato ufficialmente di «promuovere lo sviluppo di alta qualità della Belt and Road Initiative», la nuova via della Seta dalla quale l’Italia è uscita in seguito alla decisione dell’esecutivo Meloni di non rinnovare il relativo memorandum d’intesa sottoscritto nel 2019 dal Conte I.
Il Fmi alza le stime di crescita della Cina
Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha alzato le stime di crescita del prodotto interno lordo cinese nel 2024, dal 4,6 al 5 per cento, dopo la pubblicazione dei dati del primo trimestre (+5,3 per cento) e in seguito ai recenti interventi del governo di Pechino per sostenere l’economia.
Nel comunicato stampa pubblicato il 28 maggio il Fmi ha rivisto al rialzo anche le previsioni per il 2025, quando il Pil dovrebbe aumentare del 4,5 per cento rispetto al 2024 (la precedente indicazione era +4,1). Il premier Li Qiang nel marzo scorso ha preannunciato per quest’anno una crescita del Pil intorno al 5 per cento.
«Sicuramente stiamo vedendo che i consumi si stanno riprendendo, ma c’è ancora molta strada da fare», ha dichiarato il primo vicedirettore generale del Fmi, Gita Gopinath. Gopinath ha aggiunto che «gli investimenti pubblici restano forti, mentre quelli privati sono ancora fiacchi, soprattutto a causa della debolezza del settore immobiliare», per sostenere il quale il 17 maggio Pechino ha varato un pacchetto di facilitazioni all’acquisto di immobili, seguito da provvedimenti dei governi locali.
Secondo Gopinath - che nei giorni scorsi ha incontrato una serie di alti funzionari cinesi, tra cui il governatore della Banca centrale, Pan Gongsheng, le priorità di Pechino dovrebbero «includere il riequilibrio dell’economia attraverso i consumi interni, grazie al rafforzamento della rete di sicurezza sociale e la liberalizzazione del settore dei servizi, per consentirgli di stimolare il potenziale di crescita e creare posti di lavoro».
Il Fmi aspetta di conoscere le politiche che verranno annunciate dalla terza sessione plenaria (plenum) del comitato centrale del Partito comunista cinese, che si svolgerà a luglio e che è tradizionalmente dedicata all’elaborazione delle strategie economiche di medio-lungo periodo.
Gopinath ha criticato le politiche industriali utilizzate da Pechino per sostenere i settori individuati come prioritari (come quello dei veicoli elettrici), foriere secondo il Fmi di cattiva distribuzione delle risorse all’interno e di tensioni con i partner economici stranieri. Steve Barnett, rappresentante del Fmi in Cina, ha spiegato che il Fondo si attende dal plenum misure per rafforzare la produttività nell’ambito di riforme «che attribuiscano al mercato un ruolo decisivo nell’economia».
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