Taiwan, Lai è un presidente dimezzato
I nazionalisti conquistano più voti in parlamento, e Washington frenerà gli indipendentisti
Buongiorno da Shanghai.
Con la vittoria di William Lai Ching-te di sabato scorso, il Partito progressista democratico (Dpp) ha conquistato per la terza volta consecutiva la presidenza di Taiwan. Non era mai successo nella storia dell’isola, dove il Dpp e i nazionalisti del Kuomintang (Kmt) l’avevano mantenuta al massimo per due mandati di fila. Lai l’ha spuntata grazie all’incapacità del Kmt e del Partito popolare (Tpp) di presentare un candidato unitario: è stato eletto con il 40,05% delle preferenze, Hou Yu-ih del Kmt ha ottenuto il 33,49% e Ko Wen-jie del Tpp il 26,45%.
Il Dpp ha subìto un’emorragia di voti, passando dagli 8.170.231 (il 57,13 per cento) delle presidenziali di quattro anni fa a 5.586.019. Complessivamente il Kmt e il Dpp ne hanno ottenuti 8.361.487 (il 59,95%).
Le elezioni legislative, che si sono svolte assieme alle presidenziali, hanno dato vita a un parlamento (113 seggi) in cui il Dpp ne avrà 51 (-10), il Kmt 52 (+14) e il Tpp 8 (+3).
Questo significa che Lai (che si insedierà il prossimo 20 maggio) dovrà scegliere i ministri (che saranno nominati il 1° febbraio) tenendo conto dei nuovi rapporti di forza nell’unica camera (lo Yuan legislativo) e che dovrà scendere a patti con le opposizioni su tutto - dalla politica economica alle relazioni con la Repubblica popolare cinese - se vorrà far passare i provvedimenti del suo governo.
Le reazioni di Pechino e Washington alla vittoria di Lai - più “indipendentista” rispetto alla sua predecessora Tsai Ing-wen - sono state improntate alla prudenza, come suggerito dai guardrail piazzati il 15 novembre scorso nell’incontro tra Xi Jinping e Joe Biden a San Francisco. Il governo cinese ha riaffermato l’inviolabilità del principio “una sola Cina”, mentre Biden ha dichiarato: «Non sosteniamo l’indipendenza» di Taiwan. Con il presidente democratico in corsa per la riconferma (negli Usa si voterà il 5 novembre), è probabile che nei prossimi mesi la sua amministrazione frenerà le iniziative del Dpp che potrebbero apparire a Pechino più “provocatorie”.
Due giorni dopo la vittoria di Lai, Taiwan ha subìto lo schiaffo di Nauru: il micro-stato insulare della Micronesia ha riconosciuto la Rpc invece di Taiwan, lasciando quest’ultima riconosciuta ufficialmente come Repubblica di Cina solo da undici staterelli più il Vaticano.
Le associazioni imprenditoriali taiwanesi hanno subito invitato il presidente eletto a promuovere una politica più pragmatica nei confronti della Rpc, a ripensare cioè il “de-risking”, la riduzione della dipendenza dalla Cina per quanto riguarda commercio e investimenti promossa negli ultimi anni.
Nei prossimi mesi Pechino insisterà - attraverso una costante opera di moral suasion, e con strumenti di pressione economica e commerciale - per il rispetto da parte di Taiwan del “Consenso del 1992” raggiunto tra rappresentanti del partito comunista e del Kmt, potendo contare dopo otto anni su una solida sponda parlamentare a Taipei, dove sia il Kmt che il Tpp sono favorevoli alla ripresa del dialogo interrotto nel 2016, con l’elezione di Tsai Ing-wen.
Il bicchiere mezzo pieno dell’economia cinese
Il prodotto interno lordo della Repubblica popolare cinese è cresciuto del 5,2% nel 2023. L’obiettivo, fissato dal governo, di un aumento del Pil di “circa il 5%” è stato centrato “a fatica”, ha dichiarato il portavoce dell’Ufficio nazionale di statistica (Nbs) presentando ieri i dati ufficiali sull’economia del quarto trimestre 2023. Kang Yi ha aggiunto che nel 2024 la Cina dovrà ancora fare i conti con una domanda interna debole e con un contesto internazionale complicato.
Tuttavia, mentre gli analisti occidentali sottolineano le difficoltà, Pechino mette in mostra il bicchiere mezzo pieno. «Al momento, il livello del debito pubblico e il tasso di inflazione del nostro Paese sono entrambi bassi e gli strumenti politici vengono costantemente arricchiti - ha affermato Kang -. Le politiche fiscali, monetarie e di altro tipo hanno un margine di manovra relativamente ampio, e ci sono le condizioni e lo spazio per intensificare l’attuazione delle politiche macro».
La crisi del settore immobiliare (oltre 1/4 dell’economia nazionale) sta contribuendo in maniera determinante al rallentamento della crescita. A dicembre i prezzi dei nuovi appartamenti sono scesi al ritmo più veloce in quasi nove anni, segnando il sesto mese consecutivo di calo. Nel 2023 le vendite di immobili sono diminuite dell’8,5%, mentre l’avvio di nuove costruzioni è crollato del 20,4% a causa delle gravi difficoltà di Evergrande, Country Garden e altri developer.
Oltre che accompagnando la ristrutturazione di questi colossi, il governo ha deciso di rispondere alla crisi mantenendo una politica monetaria accomodante e con nuovo debito, per continuare a finanziare le operazioni immobiliari e le infrastrutture, evitando un crollo rovinoso del settore.
Il Nbs ha inoltre ripreso la pubblicazione dei dati sulla disoccupazione giovanile, sospesa cinque mesi fa. Quello rilevato il mese scorso tra i giovani tra i 16 e i 24 anni (esclusi gli studenti universitari) era pari al 14,9%, in netto calo rispetto al livello record del 21,3% registrato a giugno. Nel complesso, il tasso di disoccupazione a dicembre è passato al 5,1% dal 5% di novembre.
In aggiunta alle preoccupazioni sulle prospettive di crescita a lungo termine della Cina, nel 2023 la popolazione del Paese è diminuita per il secondo anno consecutivo, di 2,08 milioni di persone, passando da 1,4118 miliardi del 2022 a . Il numero totale di persone in Cina è sceso da 2,75 milioni a 1,4097 miliardi nel 2023. In calo anche il numero dei neonati, 9,02 milioni (-5,6%), che corrispondono al tasso di natalità più basso dal 1949, con 6,39 neonati ogni 1.000 abitanti.
La prima volta di Li a Davos
Li Qiang ha pronunciato martedì scorso il suo primo discorso da premier al World Economic Forum di Davos (il cui testo integrale è stato pubblicato da Xinhua). L’ultimo leader cinese a rivolgersi in presenza al gotha dell’economia e della finanza nella località svizzera era stato Xi Jinping nel 2017, l’anno successivo Trump aveva scatenato la guerra commerciale, seguita dalla pandemia.
Li - l’ex segretario del partito comunista di Shanghai che nella metropoli più popolosa del paese ha saputo attirare diverse grandi multinazionali, tra cui Tesla - ha provato a rassicurare gli investitori sulle prospettive dell’economia cinese, che «può gestire alti e bassi nelle sue prestazioni, ma la cui tendenza generale della crescita a lungo termine non cambierà».
Li ha giustificato il rallentamento dell’economia nazionale ricordando che per fronteggiare la pandemia di Covid-19, la Cina «non ha fatto ricorso a stimoli massicci, non ha cercato la crescita a breve termine né accumulato rischi a lungo termine», concentrandosi invece sul «rafforzamento dei fattori interni». Per contrastare le politiche di “de-risking” (di riduzione della dipendenza dalla Cina) promosse da Stati Uniti e Unione Europea, dal palco di Davos il numero due del partito comunista cinese si è rivolto agli ai leader delle maggiori multinazionali come a “vecchi amici”.
Li ha sottolineato che il ritorno sugli investimenti diretti esteri in Cina negli ultimi cinque anni è stato di “circa il 9%”, e che il mercato cinese “non è un rischio, ma un'opportunità". “La Cina rimane fermamente impegnata nell’apertura, continueremo a creare condizioni favorevoli affinché il mondo possa condividere le opportunità della Cina”, ha aggiunto il premier.
A Davos Li ha incontrato la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, alla quale ha assicurato che «la Cina è pronta a importare dall’UE più prodotti in linea con la domanda del mercato e spera che l’UE allenti le restrizioni all’esportazione di prodotti hi-tech verso la Cina».
Il 24 febbraio, la Commissione europea illustrerà un pacchetto di misure economiche - parte della sua strategia di sicurezza economica - che potrebbero avere importanti ripercussioni sul commercio e sugli investimenti tra UE e Cina. Negli ultimi giorni, all’annuncio dell’apertura, il 4 ottobre scorso, di un’inchiesta anti-dumping (voluta fortemente dalla Francia) sulle auto elettriche cinesi importate nel mercato comunitario ha fatto seguito, il 5 gennaio, quello del ministero del commercio di Pechino, sull’avvio di un’analoga indagine sul brandy importato in Cina, che potrebbe portare un aumento dei dazi sul cognac francese.
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