Via della seta, Meloni prova a ricucire lo strappo
Vertice a Verona la settimana prossima per rilanciare commercio e investimenti tra Italia e Cina
Buongiorno da Shanghai.
Dopo la decisione di non rinnovare il memorandum sulla via della seta siglato con Pechino dal Conte I nel marzo 2019, il governo Meloni prova a riprendere il filo delle relazioni con la Cina. Si parte con la Commissione economica mista Italia-Cina (CEM) e il Business and Dialogue-Forum Italia-Cina, che si svolgeranno a Verona rispettivamente l’11 e il 12 aprile prossimo.
Si tratta di due appuntamenti che dovrebbero contribuire all’elaborazione di un piano d’azione triennale (per "sostituire” il memorandum), da firmare in occasione della visita a Pechino dalla presidente del Consiglio, alla quale le parti stanno lavorando affinché possa aver luogo entro l’estate (si parla di luglio).
A Verona la delegazione cinese sarà guidata dal ministro del commercio, Wang Wentao. Per l’Italia parteciperà il responsabile della politica estera e vice presidente del Consiglio, Antonio Tajani.
Il Business and Dialogue Forum Italia-Cina servirà ad approfondire le opportunità di cooperazione economica in settori individuati come prioritari, al centro anche dell’agenda dei lavori della CEM: agritech, e-commerce, investimenti, farmaceutico e biomedicale.
Nonostante la strategia di “de-risking” della Commissione europea, le aziende italiane continueranno ad avere opportunità di export e di investimenti in Cina, mentre quest’ultima (come testimonia il pressing diplomatico degli ultimi mesi sui maggiori paesi dell’Ue) punta a rimanere legata all’Europa, anche per “bilanciare” il contenimento economico di Washington. La fase è dunque propizia per iniziative di cooperazione “win-win”, come le definiscono i cinesi.
Con la Cina (nona destinazione dell’export italiano, seconda solo agli Stati Uniti tra quelle extraeuropee) Meloni e il suo ministro degli esteri hanno più volte espresso la volontà di riequilibrare le relazioni economico-commerciali dell’Italia superando il memorandum, definito dalla prima “un grosso errore”, e che per Tajani «non ha prodotto gli effetti sperati».
Il governo proverà a ridurre il forte deficit commerciale (19,1 miliardi di euro di export contro 46,8 miliardi di euro di importazioni nel 2023) cercando nuovi canali di sbocco per il made in Italy in Cina, e ad attirare investimenti cinesi in Italia.
Tentativo quest’ultimo che si incrocia con la crisi del settore automotive e la ricerca da parte dell’esecutivo di una compagnia straniera da affiancare a Stellantis, per aumentare la produzione in Italia e mantenere i livelli occupazionali. Nelle scorse settimane il ministro dell’industria, Adolfo Urso, ha incontrato i dirigenti di diverse case automobilistiche straniere (anche cinesi), delle quali non sono stati rivelati i nomi.
Tuttavia su questo importante dossier nel governo si confrontano due linee diverse. Quella di Urso (Fratelli d’Italia), che ha invitato Stellantis ad «adattare il suo piano industriale, finanziario rispetto a quello che il sistema Italia si aspetta, non il governo ma il sistema Italia». «Capisco che (l’ad di Stellantis) Tavares tuteli gli interessi degli azionisti - ha aggiunto Urso -, ma il governo tutela gli interessi degli italiani». Urso ha aperto ad «altre case automobilistiche che non hanno siti produttivi nella Ue e li stanno cercando» (un evidente riferimento alla Cina), ricordando che «l’Italia è un paese molto attrattivo perché è l'unico Paese con una sola casa automobilistica».
Dall’altro lato Tajani (Forza Italia) sembra frenare rispetto al possibile sbarco in Italia di produttori cinesi. Il ministro degli esteri, presentando in conferenza stampa le riunioni di Verona dell’11 e 12 aprile ha dichiarato:
«Noi siamo sempre interessati agli investimenti, serve però che siano in ogni caso rispettate le regole del “level playing field” e sia garantita la sicurezza della produzione nazionale. Quindi apertura, ma con un principio di reciprocità e con delle valutazioni. Questo non perché è la Cina, ma nei confronti di qualsiasi investitore straniero noi guardiamo che sia tutelata la sicurezza nazionale dell’industria. Io ho sempre sostenuto questo principio: ben vengano gli investimenti stranieri, ma è giusto che ci sia un monitoraggio su che tipo di investimento, che deve essere finalizzato alla crescita economica del Paese con un mutuo vantaggio, non per comprare e portare via».
Rottamazione di massa per macchinari e automobili, il piano di Pechino per sostenere la crescita
Il Consiglio di stato ha avviato una campagna nazionale per incoraggiare un massiccio aggiornamento di macchinari e attrezzature e la sostituzione di beni durevoli obsoleti, un progetto definito “strategico” che, nelle intenzioni dichiarate dal governo della Rpc, dovrebbe sostenere l’economia (nel 2024 si punta a una crescita del Pil del 5 per cento), le imprese e le famiglie.
Il piano annunciato dall’esecutivo prevede l’aumento del 25 per cento entro il 2027 (rispetto al valore del 2023) degli investimenti in macchinari e attrezzature per l’industria, l’agricoltura, l’edilizia, i trasporti, l’istruzione, la cultura, il turismo e l’assistenza medica.
Il sostegno (fiscale e finanziario) del governo punterà anche all’accelerazione della sostituzione dei beni durevoli, a cominciare dalle automobili (BYD ha al momento cinque modelli in vendita a meno di 100.000 RMB, equivalenti a meno di 13.000 euro). Entro il 2027 dovrebbe raddoppiare il tasso di rottamazione degli autoveicoli e aumentare del 30 per cento quello di sostituzione degli elettrodomestici.
Secondo le stime della Commissione nazionale per le riforme e lo sviluppo (Ndrc), la sostituzione di macchinari e attrezzature potrebbe creare un mercato di oltre 5.000 miliardi di RMB all’anno (circa 704,19 miliardi di dollari USA). Insomma una soluzione per sostenere la domanda interna nel medio periodo, che tuttavia non affronta le cause della sua debolezza, tra le quali spiccano le disuguaglianze sociali e la scarsa fiducia degli imprenditori privati nelle prospettive dell’economia nazionale.
Secondo le stime della Banca centrale, il programma varato dal Consiglio di stato farà aumentare la domanda di automobili ed elettrodomestici rispettivamente di 629,3 miliardi di RMB e 210,9 miliardi di RMB e contribuirà a una crescita del Pil che potrà oscillare tra gli 0,16 e gli 0,5 punti percentuali.
Il governo di Pechino lanciò un’iniziativa simile durante la crisi finanziaria del 2008, rendendo elettrodomestici come televisori e frigoriferi più accessibili ai consumatori delle aree rurali, attraverso massicci sussidi, riuscendo in tal modo a compensare con l’aumento della domanda interna la riduzione delle esportazioni.
Secondo i dati della Banca centrale, i 40 miliardi di RMB di sussidi di allora stimolarono la crescita del Pil di 0,33 punti percentuali nel 2010 e di 0,32 nel 2011.
Tappeto rosso per Corporate America nella Grande sala del popolo
«La Cina sta elaborando e attuando una serie di passi importanti per estendere le riforme», che «creeranno ulteriore spazio per lo sviluppo» delle compagnie straniere in Cina, ha assicurato il presidente a una ventina di top manager e accademici Usa ricevuti il 27 marzo scorso a Pechino nell’ala orientale della Grande sala del popolo, quella riservata agli incontri più importanti.
Tra i notabili arrivati dall’altra parte del Pacifico c’erano Cristiano Amon, il presidente della compagnia leader nella produzione di semiconduttori Qualcomm, quello di Blackstone Stephen Schwarzman, a capo di una delle maggiori società finanziarie del pianeta, e Raj Subramaniam, alla guida del gigante delle consegne FedEx, e poi i dirigenti di Pfizer, Bloomberg e tante altre.
L’udienza con Xi - organizzata dal National Committee for U.S.-China Relations, dallo U.S.-China Business Council (Uscbc) e dal think tank Asia Society - è durata un’ora e mezza. Tra gli invitati all’incontro, al quale ha partecipato anche il ministro degli esteri Wang Yi, c’era Graham Allison, il teorico della Trappola di Tucidide. Tutti si sono detti d’accordo che una guerra tra la Cina e gli Stati Uniti si deve e si può evitare.
Lo Uscbc ha chiesto a Xi e ai leader del partito comunista di «riequilibrare l’economia cinese aumentando i consumi e affrontando le preoccupazioni di vecchia data relative ai flussi di dati transfrontalieri, agli appalti pubblici, ai diritti di proprietà intellettuale e al miglioramento della trasparenza e prevedibilità dei regolamenti».
All’inizio del mese Pechino ha promesso per l’ennesima volta di accorciare ulteriormente la lista dei settori (strategici) nei quale gli investimenti esteri in Cina subiscono forti limitazioni, aprendo quello delle telecomunicazioni e della medicina.
Agli ospiti americani Xi ha ricordato che l’economia cinese è “sana e sostenibile”, e che nel 2023 la Cina ha rappresentato oltre il 30 per cento della crescita globale, come negli anni precedenti. Il segretario generale del partito comunista ha utilizzato tutta la sua capacità retorica e il suo carisma per convincerli che conviene continuare a scommettere sulla Cina, anche se nel 2023 gli investimenti diretti dall’estero (Ide) sono scesi al livello più basso degli ultimi 30 anni (33 miliardi di dollari) e nei primi due mesi di quest’anno hanno registrato una diminuzione del 19,9 per cento.
Il partito comunista è impegnato a far dimenticare quella che in occidente è stata percepita come la “hybris” del XIX congresso del partito comunista (18-24 ottobre 2017), il caotico lockdown di Shanghai della primavera 2022, la crisi del settore immobiliare, la debolezza della domanda interna, il giro di vite contro le compagnie private del 2021-2022 e la legge anti-spionaggio recentemente approvata.
Un mix di autoritarismo e di contraddizioni di un sistema senza precedenti che Xi ha raccontato così ai businessmen Usa: «Lo sviluppo della Cina ha attraversato ogni tipo di difficoltà e sfida per arrivare al punto in cui si trova oggi. La Cina non è crollata come previsto dalla ‘teoria del collasso cinese’, né ha raggiunto il picco come previsto dalla ‘teoria del picco cinese’».
Due giorni prima del vertice Pcc-Corporate America nella Grande sala del popolo, il ministro del commercio, Wang Wentao, aveva incontrato a Pechino l’amministratore delegato di Apple, Tim Cook, e quello di Visa, Ryan McInerney a margine del China Development Forum. A Singapore invece mercoledì è stato inviato Liu Jianchao: il capo del dipartimento esteri del Pcc ha partecipato al forum FutureChina, con i leader della città-stato, tradizionalmente un “ponte” tra Cina e Stati Uniti. E aprendo giovedì nell’isola di Hainan il Boao Forum for Asia, il numero tre della nomenklatura del Pcc, Zhao Leji, ha indirizzato lo stesso messaggio di speranza - «investire nella Cina è investire nel futuro» - ai rappresentanti imprenditoriali e politici dei vicini asiatici.
La Cina è diventata “ininvestibile”, come ha dichiarato l’anno scorso la segretaria al commercio, Gina Raimondo, facendo apparire, dietro l’embargo hi-tech, lo spettro di un vero e proprio containment economico Usa?
La Cina della “Nuova era” è convinta che le sirene dei suoi mercati - nonostante la competizione delle aziende locali e la debolezza della domanda interna - possano continuare ad attirare gli stranieri. «Continueremo a far avanzare lo sviluppo di alta qualità e la modernizzazione cinese, a permettere al popolo cinese di vivere una vita migliore - ha concluso Xi -, e a contribuire maggiormente allo sviluppo sostenibile del pianeta. Siamo sicuri che lo sviluppo cinese abbia un futuro brillante».
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